PIPPO IL BUONO. ABITAVA A SANTA MARIA IN VALICELLA.
Domande per l’ottimo.
Gigi Proietti
Proietti era nato a Roma il 2 novembre del 1940. In oltre mezzo secolo di pregevole attività artistica ha collezionato 33 fiction, 42 film, 51 spettacoli teatrali di cui 37 da regista, oltre ad aver registrato 10 album come solista e diretto 8 opere liriche.
Da piccolo voleva farsi prete: «Sentivo tutto il fascino della liturgia in latino». Poi ha interpretato sul grande schermo diversi personaggi religiosi, dal cardinal Colombo a San Filippo Neri: «Le vite dei santi m’intrigano», confessò. E Dio? «Evangelicamente penso si possa trovare tra gli ultimi e i deboli»
Ha interpretato San Filippo Neri in uno sceneggiato Tv di grande successo, Preferisco il paradiso, andato in onda nel 2010 su Raiuno. Sempre per la Rai è stato anche il cardinale Romeo Colombo, capo della polizia pontificia nella Roma del 1867, porporato emblematico, fedelissimo a Pio IX nel film L’ultimo papa re («Di quest’uomo ho ammirato tanto il coraggio di parlare con franchezza al Papa», disse).
Nella sua lunghissima carriera tra teatro, cinema e Tv Gigi Proietti ha vestito spesso i panni di uomini di fede. Era incuriosito moltissimo dalle vite dei santi: «Mi intriga conoscere i loro dissidi, le loro vicissitudini che li hanno portati all’onore degli altari», disse in un’intervista alla trasmissione A Sua Immagine nel 2014, «in quest’ultimo periodo sono incuriosito dalla figura di Sant’Ignazio di Loyola, fondatore dei Gesuiti: lo trovo un uomo stimolante sotto vari aspetti». L’avevamo visto su Raiuno con la talare nera di San Filippo Neri, il “santo della gioia” che rappresentò uno dei pilastri della Controriforma in una Roma che ancora si leccava le ferite del Sacco lanzichenecco del 1527: «Bisogna fare una distinzione: san Filippo Neri era chiamato il “santo della gioia” e la gioia in senso religioso è qualcosa di più profondo, ma era anche allegro, così dicono le cronache del tempo», disse il popolare attore, «a me è piaciuto per questo aspetto. Anzi, credo che uno dei motivi per cui hanno pensato a me sta proprio nella mia allegria: non che stia sempre a ridere, però provo a trovare il lato divertente delle cose. San Filippo aveva, poi, un doppio aspetto, assolutamente non dicotomico: la vocazione alla preghiera, alla solitudine e il desiderio di esternare, di stare in mezzo alla gente. Fu un Santo gioiosamente vissuto in carità».
Da teatrante consumato non parlava quasi mai della sua fede. Si definiva «cento volte peccatore» e interpellato sul suo rapporto con Dio, una sola volta si lasciò andare: «A questa domanda potrei rispondere per giorni. È evidente che facendo questi film sono venute fuori un po’ di cose passate e legate alla mia vita: il ricordo è quello dell’oratorio, poi ci sono stati gli allontanamenti, gli scismi come capita ad alcuni. Continuo a pensare che Gesù Cristo sia stata la figura più rivoluzionaria della storia. Diciamo che negli ultimi anni si sono intensificate in me delle domande, penso più spesso al trascendente, sarà l’età che avanza?». Un cuore malandato che l’ha portato alla morte il giorno del suo compleanno, il 2 novembre, giorno in cui la Chiesa ricorda i fedeli defunti: «La data è quella, non ci posso fare nulla», scherzava.
Da bambino Proietti voleva farsi prete: «Durò poco», disse, «facevo il chierichetto nella mia parrocchia al Tufello (periferia nord di Roma, ndr) e sapevo a memoria tutta la messa in latino. Non importava che capissi poco, sentivo il fascino della liturgia, della tonaca. La mia povera mamma ripeteva spesso: “Farà quel che il Signor vorrà!”». Ossia, una carriera lunghissima e ricca di successi nel mondo dello spettacolo anche se i suoi genitori volevano che si laureasse. Come definire Dio? «Credo che evangelicamente lo si possa trovare sempre dalla parte di coloro che sono gli ultimi, poveri, deboli ed indifesi. Ma non proverei mai a definirlo, per carità di Dio», disse ridendo.
Domande curiose su San Filippo Neri
– Perché queste pazzie, potrebbe chiedere qualcuno? Non si può esser buoni, far bene, magari farsi santi, senza queste stranezze?
– Queste pazzie servono, nella tecnica della santità, per Filippo ad una cosa molto grande: la conquista della libertà!
– Di quale libertà? Sono in carcere quelli che fanno queste cose e perciò hanno bisogno di questo mezzo per uscire da galera?
– Essi, come quasi tutti, purtroppo hanno bisogno di conquistare la libertà dalla schiavitù della pubblica opinione.
Gli uomini sono, più o meno, quasi tutti schiavi della pubblica opinione.
Ci rattristiamo, se uno dice male di noi: ci rallegriamo se ne dice bene, anche se non è vero!
Noi siamo sempre alla ricerca della lode dagli altri, fuggiamo ogni critica, ogni biasimo.
Più disgraziati dei mendicanti che chiedono pane, noi andiamo accattando il bene, bravo, evviva, e cioè, quella cosa inesistente che per usa e consumo di poeti ed altra gente simile, con un termine grosso, si chiama gloria, con termine più vero si chiama vana gloria e, con termine giusto, vanità.
Noi facciamo dipendere la nostra felicità o infelicità dall’opinione degli altri.
Questa opinione degli altri è il nostro padrone, il nostro idolo.
Noi ci vergogniamo, talvolta, anche di cose sante e belle come, per esempio, di apparire religiosi, pii, in un ambiente miscredentè, e rinneghiamo Dio.
Fingiamo invece di essere buoni con quelli che sono buoni e religiosi, facciamo anche i bigotti, quando dobbiamo attirarci la benevolenza di persone di chiesa, sempre per quella tirannia dell’opinione degli altri su di noi. Mentiamo per essere stimati, commettiamo tutte le viltà per accaparrarci l’opinione pubblica.
I poeti, i guerrieri, i politici, tutti quelli insomma che fanno a pugni per aprirsi una via, perchè si agitano tanto? Per il bene pubblico forse?
No! Per mettersi in mostra e far dire. quello è un grande uomo!
Molti si dànno da fare, similmente, con tutte le arti lecite o illecite per ammucchiare quattrini, ma anche i quattrini sono una scala per salire in alto ed emergere, nella fiera universale della vita.
Vi sono anche altri, i più crediamo, i quali commettono la vigliaccheria più grande, quella di uccidersi o per aver fatto una brutta figura, o per evitarla, o perchè credono che l’uccidersi possa essere quasi un atto di eroismo.
I casi di questo genere sono innumerevoli e noi ne abbiamo una documentazione molto ampia: citiamo qualche episodio, tacendo, quando è necessario, il nome.
Una giovane tentò di suicidarsi per la morte di quell’attore tanto popolare Mario Riva.
Un giovane, avendo avuto una sospensione dalla scuola, si suicidò lasciando un biglietto in cui diceva di aver fatto ciò per non dare un dispiacere alla mamma ed intanto ne dava uno grandissimo.
Un altro che si vantava di essere il più grande nuotatore del Tevere, vi si buttò da un ponte per provare la sua bravura e vi morì.
Una donna abbastanza conosciuta Eveline Mahyère vuol vivere ma non ci riesce e si ammazza.
La colpa di questa mentalità che fa ritenere il suicidio un atto eroico è dovuta in gran parte ai giornali che dei suicidi più ingiustificati e sciocchi fanno un quadro o drammatico o sentimentale o, comunque, non quale dovrebbe essere, col mettere i fatti nel giusto colore.
C’è qualche prova anche più esplicita: una poveretta napoletana che vivacchiava col vendere castagne arrostite, un giorno tentò di suicidarsi ma poté essere salvata: dopo dichiarò di volersi uccidere per far parlare di sé, ed essere messa sul giornale.
Che questa, mania di volere apparire più degli altri sia molte volte il motivo principale, si deduce anche da un’esagerazione che si crederebbe impossibile: si commettono o si suppongono perfino reati più grandi per apparire maggiori.
Sant’Agostino nelle sue « Confessioni » dice come si vantava di birbonate giovanili, che non aveva mai commesso, per apparire più bravo.
Da tutto ciò si vede quanto fosse sapiente S. Filippo nel comprendere e valutare la forza quasi irresistibile della vanità e come quelle esercitazioni, apparentemente pazzesche, erano un allenamento, a non tener nessun conto del giudizio umano e a disprezzare la gloriuzza della vanità ed ogni altra gloria.
Dopo un certo tempo, con quel trattamento, i pazzi di S. Filippo avevano tagliate tutte le funi che tenevano in catenata la libertà e non avevano più paura di giudizio umano.
Avevano imparato ad essere se stessi ed a non tenere conto che del giudizio di Dio.
Egli era convinto di avere scelto la via buona e teneva fermo che un giorno avrebbe avuto ragione di tutte le opposizioni.
Mi pare, che tutto ciò si veda chiaro in quei versi apparentemente strani, inconcludenti, che dicono così:
Io sono un cane che rode un osso, perché della carne roder non posso se verrà tempo che posso baiare farò pentir chi non mi lascia stare.
Egli dice ironicamente, ed un po’ velatamente: pigliatevi pure gioco di me, ma vedrete che avrò ragione e voi resterete con un palmo di naso.
Ed il tempo gli dette ragione, ragione piena: i pazzi crebbero in tutta Roma ed allora ognuno si accorse che quei pazzi erano i veri savi ed il più gran pazzo, Filippo, era il più savio.