S.Croce in Gerusalemme (nella foto sopra), situata nella piazza omonima, fu edificata sui resti di una villa imperiale denominata “Horti Variani ad Spem Veterem” e la cui costruzione fu avviata da Settimio Severo e terminata da Eliogabalo nei primi due decenni del III secolo d.C. Della villa facevano parte l’Anfiteatro Castrense, il Circo Variano, dal nome della famiglia di Eliogabalo, il quale vi innalzò l’obelisco di Antinoo, le Terme Eleniane (così denominate dopo il restauro dell’imperatrice Elena), un nucleo abitativo, nel quale si identificarono una vasta sala (poi utilizzata per la costruzione di S.Croce in Gerusalemme) ed una grande sala absidata. La villa fu certamente decurtata di alcune sue parti dalla costruzione delle Mura Aureliane; all’inizio del IV secolo d.C. il complesso fu scelto come abitazione da Elena, madre di Costantino, con il nome di “Palazzo Sessoriano”: fu proprio grazie a lei che fu trasformato in basilica cristiana il grande atrio a pianta rettangolare, originariamente coperto da un soffitto piano, aperto con una serie di archi su pilastri, illuminato da venti finestre disposte cinque per lato e con decorazione marmorea nella zona inferiore.
Il termine “Sessoriano” deriva da “sedeo“, ossia “siedo”, giacché, nel tardo impero, il Consiglio imperiale si riuniva in una sala del palazzo: ancora oggi, infatti, usiamo il termine “sessione”, che ha la stessa radice linguistica, per indicare riunioni periodiche ufficiali. La basilica, detta inizialmente “Sancta Hierusalem“, assunse il nome di “Basilica Heleniana” nel 433, dopo che S.Elena vi fece edificare una cappella, isolata rispetto al complesso centrale, dove ripose i resti della S.Croce da lei rinvenuti e qui riportati da Gerusalemme. Anche se la chiesa era situata ai margini della città, divenne meta di pellegrinaggi in virtù dell’immensa importanza storica e religiosa delle reliquie: frammenti della Croce stessa, cioè tre pezzi del legno ed un chiodo, due spine della corona, parte dell’iscrizione di Ponzio Pilato in latino, ebraico e greco, “Gesù di Nazareth re dei giudei”, frammenti della colonna della flagellazione, la spugna imbevuta d’aceto usata per dissetare Gesù ed uno dei 30 denari di Giuda. Qualche modifica la chiesa la subì nel secolo VIII ma fu sotto il pontificato di Lucio II nel secolo XII che si ebbe la netta trasformazione: vennero creati dei settori longitudinali che la divisero in tre navate, venne creato il transetto, il chiostro (poi demolito) ed il bel campanile in laterizio (nella foto 1), di forma quadrata ed alto ben 8 piani.
Di essi si vedono solo gli ultimi quattro, con finestre monofore e bifore su colonne, alcune delle quali murate nel XIV secolo; i primi quattro piani invece sono inglobati nel monastero. La decorazione è completata da dischi di smalto monocromi, da due piccole edicole, del XII secolo quella al primo piano e del XIV secolo quella all’ultimo, e da un grande orologio posto al penultimo piano. Il campanile ospita tre campane, due sono opera di Simone e Prospero De Prosperis e risalgono al 1631, mentre la terza è più recente e risale al 1957. Nei secoli seguenti la basilica ebbe altri restauri sebbene nel periodo avignonese fu del tutto abbandonata, uno stato che, nonostante gli interventi di Urbano V nel XIV secolo e la consegna del monastero ai Certosini prima e ai Cistercensi poi, terminò soltanto nel XVIII secolo. Nel 1743, infatti, la basilica fu interamente rifatta per volontà di Benedetto XIV e per merito degli architetti Gregorini e Passalacqua, ai quali si deve l’attuale facciata in travertino, concava, scandita da fasci di lesene con ampie finestre poste al di sopra degli accessi minori ed il grande ovale al di sopra del passaggio centrale, sormontato da un arco a tutto sesto su colonne. Nel fregio si legge la dedica fatta apporre da papa Benedetto XIV, mentre sopra la balaustra di coronamento, che si interrompe in corrispondenza del timpano curvilineo, sono poste le statue dei Quattro Evangelisti, di “S.Elena con la Croce” (nella foto 2) a sinistra e di “Costantino” (nella foto 3) a destra: al centro, sopraelevata, è la Croce in ferro, con angeli in adorazione.
L’ingresso alla basilica avviene attraverso tre ampie arcate che immettono in un atrio a pianta ellittica, con piccola cupola sorretta da pilastri affiancati da colonne in granito che, nella basilica paleocristiana, erano situate all’interno. Attraverso le porte quattrocentesche, in parte danneggiate nel Settecento, si accede all’interno, diviso in tre navate da otto colonne originarie di granito e da sei pilastri, quattro dei quali racchiudono altrettante colonne antiche; nel soffitto ligneo voltato a botte si aprono sei lunettoni. Nel presbiterio si trovano un ciborio settecentesco e l’urna in basalto che custodisce i corpi dei santi Cesareo e Anastasio, mentre al centro dell’abside vi è un tabernacolo in marmo e bronzo dorato di Carlo Maderno e la magnifica tomba del cardinale Quiñones, confessore dell’imperatore Carlo V, opera di Jacopo Sansovino. Nei sotterranei si trova la ricca Cappella di S.Elena, ornata, nella volta, da una decorazione a mosaico voluta da Valentiniano III, poi restaurata agli inizi del Cinquecento da Melozzo da Forlì ed alla fine del Cinquecento dal Peruzzi. A questa cappella le donne possono accedere soltanto il 20 marzo, pena la scomunica, com’è scolpito in una lapide all’ingresso. Sotto il pavimento della cappella è sparsa la terra del Calvario, riportata anche questa da S.Elena, mentre nella cripta vi è la statua romana di Giunone, ritrovata ad Ostia Antica e trasformata nella statua di S.Elena con la sostituzione di testa e braccia e l’aggiunta di una croce.
Dopo aver custodito le Sacre Reliquie della Crocifissione per più di 16 secoli, la Cappella dovette cederle nel 1930 alla nuova Cappella delle Reliquie, costruita dall’architetto Florestano di Fausto per volontà del cardinale Pacheo, titolare della chiesa, su autorizzazione di Pio V, affinché le Reliquie fossero esposte alla venerazione dei fedeli. Nel piccolo giardino della piazza è situata una semplice ma elegante fontanella (nella foto 4) eretta nel 1928 dall’architetto Vittorio Cafiero. Rialzata su un piccolo gradino, al centro di un catino tripartito si eleva un fusto articolato in tre vaschette poste in altrettante nicchie, dalle quali tre teste di putti alati versano acqua nelle vaschette, dalle quali ricade poi nel sottostante catino. A lato della chiesa di S.Croce in Gerusalemme vi era un’edicola sacra con tettoia dedicata alla “Vergine con Bambino” di Antoniazzo Romano, sotto la quale vi si rifugiò Sisto IV durante un furioso temporale, implorando l’aiuto della Madonna.
Come segno di riconoscenza, il papa fece quindi costruire, per meglio conservare l’effige della Madonna, questo piccolo oratorio denominato S.Maria del Buon Aiuto (nella foto 5) o “del Soccorso”, anche se in passato ne ebbe un altro più curioso, “S.Maria de Spazzolari” o “Spazzolarla”, forse in attinenza con l’Università dei Cappellari che per qualche tempo la ebbe in cura. La chiesa presenta una facciata semplice, coperta da un tetto a capanna sul quale è situato un piccolo campanile; una breve scala con balaustra permette di accedere al bel portale con architrave, sul quale si trova la seguente iscrizione: “SIXTUS IIII FONDAVIT MCCCCLXXVI” (“Sisto IV fondò 1476”). Sulla parte alta della facciata è situato anche lo stemma papale di papa Sisto IV della Rovere, mentre una seconda iscrizione, su lastra marmorea, è posta sopra il portale e così recita: “IN QUESTO SANTO LOCO SI PREGA DIO PER L’ANIME DEL SANTO PURGATORIO LA SANTA MEMORIA DI SISTO QUARTO FECE INGRANDIRE QUESTO SANTO LOCO”.