19 Settembre 2013

I COSIDDETTI “PROGRESSISTI” VOGLIONO ABOLIRE “PADRE” E “MADRE”. TRE PASSI NEL RIDICOLO (E VERSO IL BARATRO).

Filed under: OMOFOBIA — giacomo.campanile @ 20:55

Quasi cent’anni fa il grande Gilbert K. Chesterton prevedeva che la deriva della moderna mentalità nichilista sarebbe stata – di lì a poco – il ridicolo. Cioè la guerra contro la realtà.
Intendeva dire che ciò che fino ad allora era stata un’affermazione di buon senso e di razionalità – per esempio che tutti nasciamo da un uomo e da una donna – in futuro sarebbe diventata una tesi da bigotti, un dogmatismo da condannare e sanzionare. Sosteneva che ci dovevamo preparare alla grande battaglia in difesa del buon senso.
Chesterton infatti scriveva:
“La grande marcia della distruzione culturale proseguirà. Tutto verrà negato. Tutto diventerà un credo… Accenderemo fuochi per testimoniare che due più due fa quattro. Sguaineremo spade per dimostrare che le foglie sono verdi in estate. Non ci resterà quindi che difendere non solo le incredibili virtù e saggezze della vita umana, ma qualcosa di ancora più incredibile: questo immenso, impossibile universo che ci guarda dritto negli occhi. Combatteremo per i prodigi visibili come se fossero invisibili. Guarderemo l’erba e i cieli impossibili con uno strano coraggio. Saremo tra coloro che hanno visto eppure hanno creduto”.

SPREZZO DEL RIDICOLO

Viene da ricordarlo con una certa tristezza in questi giorni nei quali – seguendo la bislacca trovata del governo francese – anche in Italia sta cominciando a dilagare l’idea di sostituire, nella modulistica della burocrazia scolastica, le categorie “padre” e “madre” con la formula “genitore 1” e “genitore 2”.
Tutto questo perché – secondo l’ideologia “politically correct” – si deve “desessualizzare la genitorialità”. Cioè perché la dizione “padre” e “madre” potrebbe essere sentita come discriminatoria da qualcuno.
Resistendo allo sconcerto e al ridere vorrei provare a ragionare pacatamente con chi si fa alfiere di questo tipo di trovate. Anzitutto va sottolineato che “i fatti hanno la testa dura” e – con buona pace di certi opinionisti – tutti sulla terra siamo stati generati da un uomo e da una donna. In qualunque modo sia avvenuto il concepimento.
Quindi la realtà contraddice le opinioni e soprattutto mostra che nessuno può sentirsi “discriminato” da quella formulazione perché tutti, proprio tutti, siamo stati generati da un padre e da una madre e dunque siamo loro figli.
Ma oggi purtroppo la mentalità dominante afferma che se i fatti contraddicono le opinioni, tanto peggio per i fatti. Così, non potendo “abolire” la natura per legge, si decide di abolire le parole che “dicono” la natura delle cose (domani si potrà decretare per legge che due più due fa sette e che si deve chiamare notte il giorno e giorno la notte).

DISCRIMINAZIONE PEGGIORE

Torniamo al genitore 1 e al genitore 2. Il fatto è che con questa formula i “politicamente corretti” finiscono pure per creare discriminazioni peggiori.
Anzitutto discriminano la stragrande maggioranza delle persone che continuano a sentirsi padri e madri – e non genitore 1 e genitore 2 – e continuano farsi chiamare dai figli “papà” e “mamma” (finché non verrà proibito).
In secondo luogo con la nuova formulazione si discrimina il “genitore 2” che inevitabilmente diventerà secondario.
Infatti per ovviare a questo problema al Comune di Bologna pare abbiano pensato di adottare un’altra dizione: “genitore” e “altro genitore”.
Vorrei sommessamente notare che è egualmente discriminatoria verso uno dei genitori. E che entrambe poi sono formule fortemente sessiste, perché sia la “soluzione” veneziana che quella bolognese, usano il termine genitore al maschile, mentre la madre – se vogliamo usare un linguaggio non discriminatorio – è casomai “genitrice”.
Ma, a quanto pare, in questo caso la discriminazione contro le donne viene ignorata e tenuta in non cale. Alla fine della fiera è evidente che i soli termini che non discriminano nessuno sarebbero “padre” e “madre”.
Ma ormai l’ideologia dominante ha dichiarato guerra a padri e madri, alla famiglia naturale, alla realtà. E quindi dovremo subire la loro progressiva cancellazione linguistica.
Non solo. L’epurazione del linguaggio andrà avanti (per esempio la parola “matrimonio”, che rimanda evidentemente alla mater, quindi alla generazione) e si dovrà estendere alla letteratura.

DESESSUALIZZARE TUTTO

Si dovrà censurare quasi tutto, dall’Odissea, dove Telemaco ha la sfrontatezza di aspettare il padre anziché il genitore 1, all’Amleto dove il protagonista vive anch’esso il dramma della morte del padre.
Dalla Bibbia, dove la paternità di Abramo dà inizio all’Alleanza e dove Gesù insegna a pregare col “Padre nostro”, indicando in Maria la Madre, fino alla psicoanalisi.
Anche la psicoanalisi dovrà cadere sotto i colpi del politically correct.
Sigmund Freud nella “Prefazione alla seconda edizione” di “L’interpretazione dei sogni” scrive testualmente: “Questo libro ha infatti per me anche un altro significato soggettivo, che mi è riuscito chiaro solo dopo averlo portato a termine. Esso mi è apparso come un brano della mia autobiografia, come la mia reazione alla morte di mio padre, dunque all’avvenimento più importante, alla perdita più straziante nella vita di un uomo”.
Come ha notato Hermann Lang “se Freud è da considerare il padre della psicanalisi” da questa citazione “risulterebbe che questa psicanalisi la deve essenzialmente alla relazione con il padre”.
La psicoanalisi infatti ci spiega che il “padre” e la “madre” non sono soltanto l’ineludibile realtà umana da cui tutti siamo nati e nasciamo, coloro che hanno generato il nostro corpo biologico: essa ci svela che le loro diverse figure permeano pure la nostra psiche, fondano, in modo complementare, la nostra identità profonda e la nostra relazione con tutte le cose. Abolire il padre e la madre dunque rischia di portare all’abolizione (psicologica) dei figli.
Ricordo solo un pensiero di Freud: “Non saprei indicare un bisogno infantile di intensità pari al bisogno che i bambini hanno di essere protetti dal padre” (da “Il disagio della civiltà”, in Opere, X, Boringhieri, Torino 1978, p. 565).
Qua, come pure dove parla della madre, come si può “correggere” Freud? Non si può sostituire padre e madre con genitore 1 o genitore 2. Perché non sono intercambiabili. Padre e madre sono complementari. E ineliminabili.
Ma tutto questo sembra non importare a questo o quell’assessore o politico o ministro o opinionista. Pare che nemmeno ci si accorga dell’enormità e della delicatezza di ciò che si va a spazzar via. Cosa volete che sia la cancellazione di una civiltà millenaria e della stessa natura umana. Basta una delibera del sindaco.

Antonio Socci

Intervista a Papa Francesco di padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica

Filed under: PAPA — giacomo.campanile @ 20:44

immagineLa Civiltà Cattolica è la rivista dei gesuiti che ha pubblicato l’intervista con l’imprimatur della Segreteria di Stato. Spadaro ha incontrato Francesco nel suo studio privato a Santa Marta, nel corso di tre appuntamenti il 19, il 23 e il 29 agosto.
Ecco le parole del Papa

Le interviste
«Non ho riconosciuto me stesso quando sul volo di ritorno da Rio de Janeiro ho risposto ai giornalisti che mi facevano le domande»

Chi è Jorge Mario Bergoglio?

17 Settembre 2013

Papa: Un buon cattolico si immischia in politica

Filed under: PAPA — giacomo.campanile @ 19:54
immagine“Diamo meglio di noi, idee, suggerimenti, preghiera”. “Non si può governare senza amore per il popolo e senza umiltà”La forza e la semplicità di Papa Francesco. Anche oggi. “Non si può governare senza amore al popolo e senza umiltà! E ogni uomo, ogni donna che deve prendere possesso di un servizio di governo, deve farsi queste due domande: ‘Io amo il mio popolo, per servirlo meglio? Sono umile e sento tutti gli altri, le diverse opinioni, per scegliere la migliore strada?’. Se non si fa queste domande il suo governo non sarà buono. Il governante, uomo o donna, che ama il suo popolo è un uomo o una donna umile”. D’altra parte, San Paolo esorta i governanti a elevare preghiere “per tutti quelli che stanno al potere, perchè possiamo condurre una vita calma e tranquilla”.

Se, dunque, i governanti devono amare il popolo, allo stesso tempo i cittadini non possono disinteressarsi della cosa pubblica. “Un buon cattolico si immischia in politica – spiega il Papa – offrendo il meglio di sé, perché il governante possa governare”. E si domanda: “Ma qual è la cosa migliore che noi possiamo offrire ai governanti? La preghiera! E’ quello che Paolo dice: ‘Preghiera per tutti gli uomini e per il re e per tutti quelli che stanno al potere’. ‘Ma, Padre, quella è una cattiva persona, deve andare all’inferno…’. ‘Prega per lui, prega per lei, perché possa governare bene, perchè ami il suo popolo, perché serva il suo popolo, perchè sia umile!’. Un cristiano che non prega per i governanti, non è un buon cristiano!”.

I cittadini quindi non possono non curarsi della politica: “Nessuno di noi può dire: ‘Ma io non c’entro in questo, loro governano…’. No, no, io sono responsabile del loro governo e devo fare il meglio perchè loro governino bene e devo fare il meglio partecipando nella politica come io posso. La politica, dice la Dottrina Sociale della Chiesa, è una delle forme più alte della carità, perché è servire il bene comune. Io non posso lavarmi le mani, eh? Tutti dobbiamo dare qualcosa!”.

Udienza generale del Papa, la Chiesa è madre

Filed under: PAPA — giacomo.campanile @ 19:53

immagineEcco la catechesi dell’udienza generale di questa mattina in Piazza San Pietro 11 settembre 2013“Per me, è l’immagine più bella della Chiesa: la Chiesa madre”.

Papa Francesco comincia così l’udienza generale, con una dichiarazione d’amore alla mamma di ogni cristiano. La Chiesa e Maria, la Madre di Gesù, sono “mamme entrambe”, ha detto, e ciò che si può dire dell’una vale per l’altra. E il primo atto che una mamma compie è di generare alla vita, nel caso della Chiesa generare alla vita della fede all’interno di una comunità, viva al di là dei suoi difetti:

“Un cristiano non è un’isola! Noi non diventiamo cristiani in laboratorio, noi non diventiamo cristiani da soli e con le nostre forze, ma la fede è un regalo, è un dono di Dio che ci viene dato nella Chiesa e attraverso la Chiesa. Quello è il momento in cui ci fa nascere come figli di Dio, il momento in cui ci dona la vita di Dio, ci genera come madre”.

E da una origine così palpitante non può dipendere, avverte Papa Francesco, un’appartenenza di facciata, un qualcosa di burocratico:

“Il nostro far parte della Chiesa non è un fatto esteriore, formale, non è riempire una carta che ci danno e poi … no, no: non è quello! E’ un atto interiore e vitale; non si appartiene alla Chiesa come si appartiene ad una società, ad un partito o ad una qualsiasi altra organizzazione. Il legame è vitale, come quello che si ha con la propria mamma, perché la Chiesa è realmente madre dei cristiani”.

Il magistero stesso di Papa Francesco si nutre di questa vitalità di scambio, naturale e diretto, con i fratelli di fede, in questo caso con gli 80 mila che lo ascoltano in Piazza. E nello stimolarli a una riflessione su quale sentimento di riconoscenza abbiano nei confronti della Chiesa come loro madre, rivolge a tutti, con la consueta simpatia, una domanda che fa pensare:

“Quanti di voi ricordano la data del proprio Battesimo? (…) La data del Battesimo è la data della nostra nascita alla Chiesa, la data nella quale la mamma Chiesa ci ha partorito. E’ bello… E adesso, un compito da fare a casa: quando oggi tornate a casa, andate a cercare bene qual è la data del vostro battesimo. E quella è buona, per festeggiarlo, per ringraziare il Signore per questo dono”.

“Amiamo la Chiesa come si ama la propria mamma – ha poi domandato Papa Francesco – sapendo anche comprendere i suoi difetti? Tutte le mamme hanno difetti, tutti ne abbiamo” e “la Chiesa ha i suoi difetti”. “La aiutiamo ad essere più bella, più autentica, più secondo il Signore?”. Poi, il Papa ha sottolineato che compito di una mamma è di aiutare i figli a crescere e la Chiesa lo fa con i Sacramenti, che accompagnano ogni persona nell’arco della vita, anche nei momenti più difficili o cruciali. Ma c’è una terza caratteristica tipica della Chiesa, che Papa Francesco spiega così:

“La Chiesa, mentre è madre dei cristiani, mentre ‘fa’ i cristiani, è anche ‘fatta’ da essi (…) Allora la maternità della Chiesa la viviamo tutti, pastori e fedeli. Alle volte io sento: ‘Io credo in Dio ma non nella Chiesa’ (…) Ma una cosa sono i preti… La Chiesa non è solo i preti: la Chiesa siamo tutti. E se tu dici che credi in Dio e non credi nella Chiesa, stai dicendo che non credi in te stesso, e questa è una contraddizione. La Chiesa, siamo tutti!”.

“Tutti – conclude Papa Francesco incalzando la folla – siamo chiamati a collaborare alla nascita alla fede di nuovi cristiani, tutti siamo chiamati ad essere educatori nella fede, ad annunciare il Vangelo”:

“Quando ripeto che amo una Chiesa non chiusa nel suo recinto, ma capace di uscire, di muoversi, anche con qualche rischio, per portare Cristo a tutti, penso a tutti, a me, a te, a ogni cristiano! Penso a tutti. Tutti partecipiamo della maternità della Chiesa, tutti siamo Chiesa: tutti; affinché la luce di Cristo raggiunga gli estremi confini della terra”.

14 Settembre 2013

Conoscere Roma 2013-14

Filed under: PROGETTI — giacomo.campanile @ 06:59

Progetto interdisciplinare sul Cristianesimo a Roma. “Conoscere Roma”. Visita dei luoghi di culto più importanti storicamente e artisticamente.

………………………………………………………………………….

Anno scolastico 2013-14 …………………………………………………………………..

Referenti

Proff. Giacomo Campanile, Prof.ssa Paola Berrettini

……………………………………………………………………………………………………………………….

Oggetto :

descrizione sintetica dell’attività proposta
Descrizione delle origini del Cristianesimo e del suo sviluppo nella città di Roma dai primi secoli fino all’ età moderna. In particolare “Conoscere Roma”. Visita dei luoghi di culto più importanti storicamente e artisticamente.

Verranno realizzate 5 visite guidate : 1. Basilica S.Paolo fuori le mura.  2) Basilica di Sant’Ambrogio e Carlo al Corso. 3) Chiesa . Maria del Popolo. 4) Basilica di S.Pietro in Vaticano.

5) Basilica S.Giovanni in Laterano e al tre Chiese

Finalità e obiettivi didattici:

motivazioni di ordine generale e pratico, competenze, conoscenze e abilità da raggiungere
Far conoscere la storia del Cristianesimo, in particolare modo a Roma, attraverso la storia della religione, l’ archeologia e la storia dell’ arte. Educare gli alunni al rispetto per la memoria storica , religiosa e culturale di Roma.

Raccordi inter e pluridisciplinari

discipline o aree disciplinari coinvolte; raccordi tematici e di programma
Religione, storia, filosofia, storia dell’arte, italiano, latino, greco.

Storia del Cristianesimo a Roma.

Strumenti e sussidi :

indicare le risorse strumentali e tecniche necessarie alla realizzazione del progetto
Fotocopiatrice, fax e telefono della segreteria scolastica, computer del laboratorio multimediale, proiettore per computer, CD, fotocopie, manuali  storico-artistici, monografie.

Internet.

Modalità di attuazione :

descrizione concreta delle fasi progettuali e loro calendarizzazione con precisazione, per ogni fase, del numero di ore impiegate e dell’orario previsto per ciascun incontro.
20 ore funzionali lezioni. 1h. per ogni visita guidate ai luoghi e ai monumenti suddetti mattina nei mesi da ottobre a maggio.

Spazi :

precisare se aule, laboratori, ecc. e indicazione dei giorni ed ore in cui si svolgono le attività del progetto nei luoghi interessati per evitare sovrapposizioni
Laboratorio di informatica, Aula Magna , luoghi e monumenti delle visite guidate

Docenti impegnati :

precisarne i nomi e, per ciascun docente, il numero totale delle ore frontali programmate e il numero totale delle ore di programmazione progettuale previste. Il referente deve inoltre precisare le ore relative al coordinamento del progetto.
Prof. Giacomo Campanile

Prof.ssa Paola Berrettini

Svolgeranno l’approfondimento del progetto nelle ore curricolari.

Eventuali esperti esterni:

numero di esperti e loro nomi: guide archeologiche nel caso si rendesse necessario.

………………………………………… …………………………………………

qualifica ed ente di provenienza :

………………………………………………………………….

n. ore impegnate: compenso a visita per gruppo di alunni.

……………………………………………………………………………………………

Diretto a (classi/ alunni/ gruppi di alunni/docenti/genitori):

Si ricorda che per l’attivazione di un progetto con lezioni frontali il gruppo di alunni non può essere inferiore a 15 (tranne che per gli IDEI).
Alunni dei docenti referenti e su richiesta alunni di altre classi dell’Istituto.

Modalità di monitoraggio e periodicità di rilevazione, eventuali indicatori o indici già rilevati

Monitoraggio :

a cura del referente, con questionari a risposta aperta e di gradimento da somministrare agli studenti al termine dell’esperienza progettuale; eventuali monitoraggi intermedi anche con altre modalità
Questionario a risposta aperta alla fine del corso.

Verifica/e :

relazione finale sugli esiti del progetto, contenente anche i dati relativi alla frequenza e partecipazione attiva degli alunni e dei docenti
Si.

Tempi di attuazione :

n. ore complessive del progetto:  …………………………… …………………………………………………….

mattina o pomeriggio: mattina……………………………………………………………………………………………………………

se attività svolta oltre il normale orario scolastico specificare:

n. ore insegnamento frontale effettuate in codocenza

………………………………………………………

n. ore insegnamento frontale effettuate da gennaio …………………

n. ore  funzionali all’insegnamento effettuate entro.

…………………………………………..

n. ore  funzionali all’insegnamento effettuate da: ………………….……….

Data 15/09/2013

IL RESPONSABILE

DEL PROGETTO

Prof. Giacomo Campanile

Prof.ssa Paola Berrettini

Piccolo Coro del Montale 2013-14

Filed under: PROGETTI — giacomo.campanile @ 06:53

Anno scolastico 2013-2014 A cura del referente di progetto

TITOLO DEL PROGETTO

Piccolo Coro del Montale

Referente ProfGiacomo Campanile

Oggetto :

descrizione sintetica dell’attività proposta
Lezioni – prove con circa 35 studenti

con il concerto di Natale e Pasqua in aula Magna

Finalità e obiettivi didattici conseguiti:

motivazioni di ordine generale e pratico, competenze, conoscenze e abilità da raggiungere
Saper Stare bene insieme, saper collaborare con gli altri,

conoscere la musica e le canzoni della tradizione popolare  italiana.

Saper suonare uno strumento musicale (chitarra, tastiera, batteria, basso elettrico, computer ecc. ecc.). Aspetto positivo socializzante del cantare insieme.

Raccordi inter e pluridisciplinari

discipline o aree disciplinari che sono state coinvolte; raccordi tematici e di programma
Musica, Religione, lettere, informatica.

Strumenti e sussidi :

risorse strumentali e tecniche utilizzate per la realizzazione del progetto
Software musicali, chitarre, tastiera, batteria, basso elettrico, voce umana, computer

Modalità di attuazione :

descrizione concreta delle fasi progettuali e loro calendarizzazione con precisazione, per ogni fase, dei giorni, del numero di ore impiegate e dell’orario previsto per ciascun incontro (durata oraria), e se antimeridiano o pomeridiano
lezioni per realizzare il  concerto di  Natale e di Pasqua.

Svolte da ottobre ad aprile maggio il pomeriggio dalle 14,00 alle 15,00

30 ore funzionali. LEZIONI FRONTALI

Spazi :

indicazione dei luoghi, interni o esterni alla scuola, utilizzati
Biblioteca, Aula magna, laboratorio di musica…….

Docenti impegnati :

precisarne i nomi e, per ciascun docente, il numero totale delle ore frontali effettuate e il numero totale delle ore funzionali effettuate.
Giacomo Campanile

per lezioni di musica per organizzazione concerto

Classi/ alunni/ gruppi di alunni/docenti/genitori che hanno partecipato:

Si ricorda che per l’attivazione di un progetto con lezioni frontali il gruppo di alunni non può essere inferiore a 15 (tranne che per gli IDEI).
35 studenti delle classi delle sezioni A – B – C – D e altre classi

Monitoraggio :

a cura del referente (ad es. con questionari di gradimento da somministrare agli studenti al termine dell’esperienza progettuale o con altre modalità) facendo un riepilogo della customer satisfation
GRADIMENTO OTTIMO, VISTA  LA PARTECIPAZIONE AL CONCERTO, GLI STUDENTI HANNO RICHIESTO IL PROSEGUIMENTO DEL PROGETTO CON LA REALIZZAZIONE DEI CONCERTI DEGLI ANNI PASSATI SEMPRE RIUSCITI

Verifica :

dati relativi alla frequenza e partecipazione attiva degli alunni e dei docenti e giudizio complessivo su questo aspetto
Buona la partecipazione attiva degli studenti  negli anni passati.

Tempi di attuazione :

n. ore complessive del progetto 30…………………………. …………………………………………………….

mattina o pomeriggio …..pomeriggio……………………………………………………………………………………………………….

se attività svolta oltre il normale orario scolastico specificare:

n. ore insegnamento ore  funzionali effettuate da aprile 2014 entro il 30/06/2014….…………………

IL RESPONSABILE DEL PROGETTO

Giacomo Campanile

Roma 15 settembre 2013

CAPPELLA SISTINA. RELIGIONE E ARTE. LEZIONE OTTOBRE 2019

Filed under: ARTE,LEZIONI DI RELIGIONE,Religione — giacomo.campanile @ 06:45

Cappella Sistina. Religione e Arte. La volta, episodi della Genesi

Franz Joseph Haydn – DIE SCHÖPFUNG – (La Creazione) Oratorio per Soli, Coro e Orchestra

Video introduttivo Cappella Sistina

video Michelangelo. Cappella Sistina per dipingere ad affresco i mille metri quadratO

VIDEO CREAZIONE DI MICHELANGELO

La Cappella Sistina è una delle cappelle del Palazzo Apostolico della Città del Vaticano, dove si trova la residenza ufficiale del Papa. Il suo nome proviene dal Papa Sisto IV che ordinò il suo restauro tra il 1473 e il 1481. Da allora, questa cappella è servita per la celebrazione di atti e cerimonie papali.

Durante il pontificato di Sisto IV, un gruppo di pittori rinascimentali venne chiamato ad eseguire opere nella cappella, tra cui Sandro Botticelli, Pietro Perugino, Pinturicchio, Domenico Ghirlandaio, Cosimo Rosselli e Luca Signorelli. Furono fatte due serie di pannelli d’affresco, uno sulla vita di Mosè a sinistra dell’altare e un altro sulla vita di Gesù Cristo a destra.

Su ordine di papa Giulio II, Michelangelo decorò la volta della cappella, tutti gli affreschi del soffitto della Cappella Sistina sono opera di questo brillante artista che ha avuto bisogno di quattro anni per completare l’opera, dal 1508 al 1512, creando un’opera d’arte senza precedenti e che avrebbe cambiato il corso dell’arte occidentale.

Anni dopo, tra il 1536 e il 1541, dipinse il Giudizio Universale nel muro dell’altare, per i Papi Clemente VII e Pablo III.

Volta

Volta

 Giulio II  affida a Michelangelo una nuova decorazione pittorica.

L’8 maggio del 1508 l’artista sottoscrisse il contratto, Michelangelo pose nove Storie centrali, raffiguranti episodi della Genesi, con ai lati figure di Ignudi, sostenenti medaglioni con scene tratte dal Libro dei Re. Alla base della struttura architettonica, dodici Veggenti, cioè Profeti e Sibille, siedono su troni monumentali a cui si contrappongono più in basso gli Antenati di Cristo, raffigurati nelle Vele e nelle Lunette (parete nordparete sudparete ingresso). Infine nei quattro Pennacchi angolari, l’artista rappresentò alcuni episodi della miracolosa salvazione del popolo d’Israele.

Il lavoro dovette essere completato entro il 31 ottobre del 1512, poiché il 1° novembre il Papa celebrò la messa in Cappella.

IL GIUDIZIO UNIVERSALE VIDEO

La grandiosa composizione, realizzata da Michelangelo tra il 1536 e il 1541, si incentra intorno alla figura dominante del Cristo, colto nell’attimo che precede quello in cui verrà emesso il verdetto del Giudizio (Matteo 25,31-46). Il suo gesto, imperioso e pacato, sembra al tempo stesso richiamare l’attenzione e placare l’agitazione circostante: esso dà l’avvio ad un ampio e lento movimento rotatorio in cui sono coinvolte tutte le figure.

Ne rimangono escluse le due lunette in alto con gruppi di angeli recanti in volo i simboli della Passione (a sinistra la Croce, i dadi e la corona di spine; a destra la colonna della Flagellazione, la scala e l’asta con la spugna imbevuta di aceto).

Accanto a Cristo è la Vergine, che volge il capo in un gesto di rassegnazione: ella infatti non può più intervenire nella decisione, ma solo attendere l’esito del Giudizio.

Anche i Santi e gli Eletti, disposti intorno alle due figure della Madre e del Figlio, attendono con ansia di conoscere il verdetto. Alcuni di essi sono facilmente riconoscibili: S. Pietro con le due chiavi, S. Lorenzo con la graticola, S. Bartolomeo con la propria pelle in cui si suole ravvisare l’autoritratto di Michelangelo, S. Caterina d’Alessandria con la ruota dentata, S. Sebastiano inginocchiato con le frecce in mano.

Nella fascia sottostante, al centro gli angeli dell’Apocalisse risvegliano i morti al suono delle lunghe trombe; a sinistra i risorti in ascesa verso il cielo recuperano i corpi (Resurrezione della carne), a destra angeli e demoni fanno a gara per precipitare i dannati nell’inferno.

Infine in basso Caronte a colpi di remo insieme ai demoni fa scendere i dannati dalla sua imbarcazione per condurli davanti al giudice infernale Minosse, con il corpo avvolto dalle spire del serpente. E’ evidente in questa parte il riferimento all’Inferno della Divina Commedia di Dante Alighieri.

Assieme agli elogi, il Giudizio suscitò tra i contemporanei violente reazioni, come ad esempio quella del Maestro delle Cerimonie Biagio da Cesena, il quale disse che “era cosa disonestissima in un luogo tanto onorato avervi fatto tanti ignudi che si disonestamente mostrano le loro vergogne e che non era opera da Cappella del Papa ma da stufe e osterie” (G. Vasari, Le Vite). Le polemiche, continuate nel corso degli anni, portarono nel 1564 alla decisione da parte della Congregazione del Concilio di Trento di far coprire alcune delle figure del Giudizio ritenute “oscene”. L’incarico di dipingere i panneggi di copertura, le cosiddette “braghe”, fu data a Daniele da Volterra, da allora noto come il “braghettone”. Le “braghe” di Daniele furono solo le prime, altre infatti se ne aggiunsero nei secoli successivi.

Parete Nord

Parete Nord

Le Storie di Cristo comprendevano in origine otto riquadri, ciascuno presentato da un titolo nel fregio superiore, che iniziavano con la Natività eseguita dal Perugino sulla parete dell’altare, poi distrutta per far posto al Giudizio Universale di Michelangelo. Oggi, quindi, i Fatti della Vita di Cristo partono dal secondo riquadro che rappresenta il Battesimo (Matteo 3, 13-17Marco 1, 9-11Luca 3, 21-22Giovanni 1, 29-34), Tentazioni di Cristo (Matteo 4, 1-11Marco 1, 12-13Luca 4, 1-13) e la Purificazione del lebbroso (Matteo 8, 1-4Marco 1, 40-45Luca 5, 12-16). Il terzo raffigura in primo piano la Vocazione dei primi apostoli Pietro e Andrea, mentre sullo sfondo è la chiamata di Giovanni e Giacomo (Matteo 4, 18-22Marco 1, 16-20Luca 5, 1-11).

L’affresco successivo illustra il Discorso della montagna (Matteo capp. 5-7Luca 6, 17-49) e la guarigione del lebbroso (Matteo 8,1-4Marco 1, 40-45Luca 5, 12-16), mentre il quinto mostra la Consegna delle chiavi (Matteo 16, 13-20), vale a dire la trasmissione dei poteri da Cristo a Pietro, suo vicario, oltre ai due episodi del Pagamento del tributo (Matteo 17, 24-27) e della Tentata lapidazione di Cristo (Giovanni 8, 31-59;10, 31-39) sullo sfondo. Conclude la serie su questa parete l’Ultima Cena (Matteo 26, 17-29Marco 14, 12-25Luca 22, 7-23Giovanni 13, 21-30) dove, al di là delle finestre sono rappresentati tre episodi della Passione: Orazione nell’orto (Matteo 26, 36-46Marco 14, 32-42;Luca 22, 39-46), Cattura di Gesù (Matteo 26, 47-56Marco 14, 43-52Luca 22, 47-53Giovanni 18, 1-11), Crocifissione (Matteo 27, 32-50Marco 15, 22-39Luca 23, 33-46Giovanni 19, 17-30).

Il ciclo si conclude con la Resurrezione di Cristo (Matteo 28, 1-8) sulla parete d’ingresso. A ciascun riquadro delle storie corrisponde nella fascia inferiore un finto tendaggio con le imprese di Sisto IV. La serie dei Pontefici si snodava lungo tutte le pareti della Cappella a partire da quella dell’altare, in cui al centro figuravano Cristo e il primo papa Pietro, oltre a Lino e Cleto. Le quattro figure andarono perdute allorché Michelangelo, per ordine di Paolo III, nel 1536 dipinse su questa parete il Giudizio Universale. I Pontefici sono disposti a coppie entro nicchie ai lati delle finestre: la loro successione non si svolge su una parete, ma si alternano con quella di fronte.

Gli autori della serie sono gli stessi dei cicli della vita di Mosè e di Cristo, vale a dire Pietro Perugino, Sandro Botticelli, Cosimo Rosselli, Domenico Ghirlandaio. I diversi personaggi si differenziano solo lievemente nella posizione; essi sono generalmente rappresentati a figura intera, di tre quarti con un libro o un rotolo, oppure in atto di benedizione.

Nelle lunette e nelle vele soprastanti Michelangelo ha rappresentato gli Antenati di Cristo, anticipatori della sua venuta e quindi della Redenzione. Essi sono elencati all’inizio del Vangelo di Matteo (Matteo 1,1-17), che a partire da Abramo riporta i nomi di quaranta progenitori di Cristo (differenziandosi dall’altra versione dell’evangelista Luca, che iniziando da Adamo riporta invece 75 famiglie), rappresentati qui non tanto come immagini storiche quanto come figurazioni simboliche di un’umanità colta in varie attitudini e soprattutto nel suo costituirsi in nuclei familiari. Numerosi tentativi di collegare i nomi scritti sulle targhe ai personaggi raffigurati non hanno però consentito fino ad ora di stabilirne una identificazione certa.

Parete Sud

Parete Sud

Le Storie di Mosè, che comprendevano in origine otto riquadri ciascuno presentato da un titolo nel fregio superiore, iniziavano dalla parete d’altare con la Nascita e il Ritrovamento di Mosè del Perugino, affresco andato perduto al tempo della realizzazione del Giudizio Universale di Michelangelo.

Oggi quindi il ciclo dell’Antico Testamento parte dal Viaggio di Mosè in Egitto, in cui compaiono in un unico riquadro il Congedo dal suocero Ietro (Esodo 4, 18-20), il Ritorno in Egitto con la famiglia (Esodo 4, 18-20), la Circoncisione del secondogenito (Esodo 4, 24-26). Il secondo riquadro descrive alcuni Fatti della vita di Mosè: l’uccisione dell’egiziano (Esodo 2, 11-15), la lotta con i pastori per difendere le figlie di Ietro (Esodo 2, 16-21) e la visione del roveto ardente (Esodo 3, 1-12). Il terzo affresco illustra il Passaggio del Mar Rosso (Esodo 14, 5-31), cui segue la Consegna delle Tavole della Legge dove sono narrati simultaneamente la Salita di Mosè sul Monte Sinai (Esodo 24, 12-1731, 18 ) per ricevere le Tavole della Legge, l’Adorazione del vitello d’oro (Esodo 32, 1-20), la Punizione degli ebrei idolatri (Esodo 32, 25-35) e il ritorno del Profeta con le nuove Tavole della Legge (Esodo 34, 1-4). Il riquadro successivo illustra un episodio alquanto raro, vale a dire la Punizione di Core, Datan e Abiram (Numeri 16, 1-35), sacerdoti ebrei che negavano a Mosè e Aronne l’autorità civile e religiosa sul popolo eletto; essi furono per questo inghiottiti dalla terra e consumati da un fuoco invisibile insieme alle loro famiglie.

L’ultimo affresco mostra il Testamento e morte di Mosè (Deuteronomio 3334) dopo essere giunto in vista della Terra Promessa. Il ciclo si conclude sulla parete d’ingresso con la Contesa sul corpo di Mosè (Lettera di Giuda, 9). Ciascun riquadro delle storie corrisponde nella fascia inferiore un finto tendaggio con le imprese di Sisto IV.

Michelangelo, per ordine di Paolo III, nel 1536 dipinse su questa parete il Giudizio Universale. I Pontefici sono disposti a coppie entro nicchie ai lati delle finestre: la serie non è rappresentata in sequenza ma si alterna sulle pareti. Gli autori sono gli stessi dei cicli della vita di Mosè e di Cristo, vale a dire Pietro Perugino, Sandro Botticelli, Cosimo Rosselli, Domenico Ghirlandaio. I diversi personaggi si differenziano solo lievemente nella posizione o nella fisionomia dei gesti; essi sono generalmente rappresentati di tre quarti con un libro o un rotolo oppure in atto di benedizione. Nelle lunette e nelle vele soprastanti Michelangelo ha rappresentato gli Antenati di Cristo, anticipatori della sua venuta e quindi della Redenzione. Essi sono elencati all’inizio del Vangelo di Matteo (Matteo 1, 1-17), che a partire da Abramo riporta i nomi di quaranta progenitori di Cristo (differenziandosi dall’altra versione dell’evangelista Luca, che iniziando da Adamo riporta invece 75 famiglie), rappresentati qui non tanto come immagini storiche quanto come figurazioni simboliche di un’umanità colta in varie attitudini e soprattutto nel suo costituirsi in nuclei familiari. Numerosi tentativi di collegare i nomi scritti sulle targhe ai personaggi raffigurati non hanno però consentito fino ad ora di stabilirne una identificazione certa.

DISEGNI DA COLORARE MICHELANGELO

Antique illustration: The Creation of Adam by Michelangelo

12 Settembre 2013

MASSIME SETTEMBRE 2013

Filed under: MASSIME — giacomo.campanile @ 21:46

Io credo in Dio ma non nella Chiesa’ (…) Ma una cosa sono i preti… La Chiesa non è solo i preti: la Chiesa siamo tutti. E se tu dici che credi in Dio e non credi nella Chiesa, stai dicendo che non credi in te stesso, e questa è una contraddizione. La Chiesa, siamo tutti!”.

Amiamo la Chiesa come si ama la propria mamma

Tutte le mamme hanno difetti, tutti ne abbiamo” e “la Chiesa ha i suoi difetti”. “La aiutiamo ad essere più bella, più autentica, più secondo il Signore

Foto

Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi.” Luca 6,20-26.

Col 3, 1-11
Fratelli, se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra.

Sal.150. Lodelodiamolo

Lodatelo con squilli di tromba, lodatelo con arpa e cetra; lodatelo con timpani e danze, lodatelo sulle corde e sui flauti.

Foto: Confronto Gesù/Maometto. Gesù disse: «Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» (Gv 8,32)

Lodatelo con cembali sonori, lodatelo con cembali squillanti; ogni vivente dia lode al Signore.

Foto

11 Settembre 2013

Lettera di papa Francesco a Eugenio Scalfari

Filed under: PAPA — giacomo.campanile @ 19:54

immagine
Ecco il testo integrale della lettera di Papa Francesco che scrive al quotidiano la Repubblica. Il Papa risponde a una serie di domande sollevate da Eugenio Scalfari.Pregiatissimo Dottor Scalfari,
è con viva cordialità che, sia pure solo a grandi linee, vorrei cercare con questa mia di rispondere alla lettera che, dalle pagine di Repubblica, mi ha voluto indirizzare il 7 luglio con una serie di sue personali riflessioni, che poi ha arricchito sulle pagine dello stesso quotidiano il 7 agosto.

La ringrazio, innanzi tutto, per l’attenzione con cui ha voluto leggere l’Enciclica Lumen fidei. Essa, infatti, nell’intenzione del mio amato Predecessore, Benedetto XVI, che l’ha concepita e in larga misura redatta, e dal quale, con gratitudine, l’ho ereditata, è diretta non solo a confermare nella fede in Gesù Cristo coloro che in essa già si riconoscono, ma anche a suscitare un dialogo sincero e rigoroso con chi, come Lei, si definisce “un non credente da molti anni interessato e affascinato dalla predicazione di Gesù di Nazareth”.
Mi pare dunque sia senz’altro positivo, non solo per noi singolarmente ma anche per la società in cui viviamo, soffermarci a dialogare su di una realtà così importante come la fede, che si richiama alla predicazione e alla figura di Gesù. Penso vi siano, in particolare, due circostanze che rendono oggi doveroso e prezioso questo dialogo.

Esso, del resto, costituisce, come è noto, uno degli obiettivi principali del Concilio Vaticano II, voluto da Giovanni XXIII, e del ministero dei Papi che, ciascuno con la sua sensibilità e il suo apporto, da allora sino ad oggi hanno camminato nel solco tracciato dal Concilio. La prima circostanza – come si richiama nelle pagine iniziali dell’Enciclica – deriva dal fatto che, lungo i secoli della modernità, si è assistito a un paradosso: la fede cristiana, la cui novità e incidenza sulla vita dell’uomo sin dall’inizio sono state espresse proprio attraverso il simbolo della luce, è stata spesso bollata come il buio della superstizione che si oppone alla luce della ragione. Così tra la Chiesa e la cultura d’ispirazione cristiana, da una parte, e la cultura moderna d’impronta illuminista, dall’altra, si è giunti all’incomunicabilità. È venuto ormai il tempo, e il Vaticano II ne ha inaugurato appunto la stagione, di un dialogo aperto e senza preconcetti che riapra le porte per un serio e fecondo incontro.

La seconda circostanza, per chi cerca di essere fedele al dono di seguire Gesù nella luce della fede, deriva dal fatto che questo dialogo non è un accessorio secondario dell’esistenza del credente: ne è invece un’espressione intima e indispensabile. Mi permetta di citarLe in proposito un’affermazione a mio avviso molto importante dell’Enciclica: poiché la verità testimoniata dalla fede è quella dell’amore – vi si sottolinea – “risulta chiaro che la fede non è intransigente, ma cresce nella convivenza che rispetta l’altro. Il credente non è arrogante; al contrario, la verità lo fa umile, sapendo che, più che possederla noi, è essa che ci abbraccia e ci possiede. Lungi dall’irrigidirci, la sicurezza della fede ci mette in cammino, e rende possibile la testimonianza e il dialogo con tutti” (n. 34). È questo lo spirito che anima le parole che le scrivo.

La fede, per me, è nata dall’incontro con Gesù. Un incontro personale, che ha toccato il mio cuore e ha dato un indirizzo e un senso nuovo alla mia esistenza. Ma al tempo stesso un incontro che è stato reso possibile dalla comunità di fede in cui ho vissuto e grazie a cui ho trovato l’accesso all’intelligenza della Sacra Scrittura, alla vita nuova che come acqua zampillante scaturisce da Gesù attraverso i Sacramenti, alla fraternità con tutti e al servizio dei poveri, immagine vera del Signore. Senza la Chiesa – mi creda – non avrei potuto incontrare Gesù, pur nella consapevolezza che quell’immenso dono che è la fede è custodito nei fragili vasi d’argilla della nostra umanità.

Ora, è appunto a partire di qui, da questa personale esperienza di fede vissuta nella Chiesa, che mi trovo a mio agio nell’ascoltare le sue domande e nel cercare, insieme con Lei, le strade lungo le quali possiamo, forse, cominciare a fare un tratto di cammino insieme.
Mi perdoni se non seguo passo passo le argomentazioni da Lei proposte nell’editoriale del 7 luglio. Mi sembra più fruttuoso – o se non altro mi è più congeniale – andare in certo modo al cuore delle sue considerazioni. Non entro neppure nella modalità espositiva seguita dall’Enciclica, in cui Lei ravvisa la mancanza di una sezione dedicata specificamente all’esperienza storica di Gesù di Nazareth.

Osservo soltanto, per cominciare, che un’analisi del genere non è secondaria. Si tratta infatti, seguendo del resto la logica che guida lo snodarsi dell’Enciclica, di fermare l’attenzione sul significato di ciò che Gesù ha detto e ha fatto e così, in definitiva, su ciò che Gesù è stato ed è per noi. Le Lettere di Paolo e il Vangelo di Giovanni, a cui si fa particolare riferimento nell’Enciclica, sono costruiti, infatti, sul solido fondamento del ministero messianico di Gesù di Nazareth giunto al suo culmine risolutivo nella pasqua di morte e risurrezione.

Dunque, occorre confrontarsi con Gesù, direi, nella concretezza e ruvidezza della sua vicenda, così come ci è narrata soprattutto dal più antico dei Vangeli, quello di Marco. Si costata allora che lo “scandalo” che la parola e la prassi di Gesù provocano attorno a lui derivano dalla sua straordinaria “autorità”: una parola, questa, attestata fin dal Vangelo di Marco, ma che non è facile rendere bene in italiano. La parola greca è “exousia”, che alla lettera rimanda a ciò che “proviene dall’essere” che si è. Non si tratta di qualcosa di esteriore o di forzato, dunque, ma di qualcosa che emana da dentro e che si impone da sé. Gesù in effetti colpisce, spiazza, innova a partire – egli stesso lo dice – dal suo rapporto con Dio, chiamato familiarmente Abbà, il quale gli consegna questa “autorità” perché egli la spenda a favore degli uomini.

Così Gesù predica “come uno che ha autorità”, guarisce, chiama i discepoli a seguirlo, perdona… cose tutte che, nell’Antico Testamento, sono di Dio e soltanto di Dio. La domanda che più volte ritorna nel Vangelo di Marco: “Chi è costui che…?”, e che riguarda l’identità di Gesù, nasce dalla constatazione di una autorità diversa da quella del mondo, un’autorità che non è finalizzata ad esercitare un potere sugli altri, ma a servirli, a dare loro libertà e pienezza di vita. E questo sino al punto di mettere in gioco la propria stessa vita, sino a sperimentare l’incomprensione, il tradimento, il rifiuto, sino a essere condannato a morte, sino a piombare nello stato di abbandono sulla croce. Ma Gesù resta fedele a Dio, sino alla fine.

Ed è proprio allora – come esclama il centurione romano ai piedi della croce, nel Vangelo di Marco – che Gesù si mostra, paradossalmente, come il Figlio di Dio! Figlio di un Dio che è amore e che vuole, con tutto se stesso, che l’uomo, ogni uomo, si scopra e viva anch’egli come suo vero figlio. Questo, per la fede cristiana, è certificato dal fatto che Gesù è risorto: non per riportare il trionfo su chi l’ha rifiutato, ma per attestare che l’amore di Dio è più forte della morte, il perdono di Dio è più forte di ogni peccato, e che vale la pena spendere la propria vita, sino in fondo, per testimoniare questo immenso dono.

La fede cristiana crede questo: che Gesù è il Figlio di Dio venuto a dare la sua vita per aprire a tutti la via dell’amore. Ha perciò ragione, egregio Dott. Scalfari, quando vede nell’incarnazione del Figlio di Dio il cardine della fede cristiana. Già Tertulliano scriveva “caro cardo salutis”, la carne (di Cristo) è il cardine della salvezza. Perché l’incarnazione, cioè il fatto che il Figlio di Dio sia venuto nella nostra carne e abbia condiviso gioie e dolori, vittorie e sconfitte della nostra esistenza, sino al grido della croce, vivendo ogni cosa nell’amore e nella fedeltà all’Abbà, testimonia l’incredibile amore che Dio ha per ogni uomo, il valore inestimabile che gli riconosce. Ognuno di noi, per questo, è chiamato a far suo lo sguardo e la scelta di amore di Gesù, a entrare nel suo modo di essere, di pensare e di agire. Questa è la fede, con tutte le espressioni che sono descritte puntualmente nell’Enciclica.

Sempre nell’editoriale del 7 luglio, Lei mi chiede inoltre come capire l’originalità della fede cristiana in quanto essa fa perno appunto sull’incarnazione del Figlio di Dio, rispetto ad altre fedi che gravitano invece attorno alla trascendenza assoluta di Dio.
L’originalità, direi, sta proprio nel fatto che la fede ci fa partecipare, in Gesù, al rapporto che Egli ha con Dio che è Abbà e, in questa luce, al rapporto che Egli ha con tutti gli altri uomini, compresi i nemici, nel segno dell’amore. In altri termini, la figliolanza di Gesù, come ce la presenta la fede cristiana, non è rivelata per marcare una separazione insormontabile tra Gesù e tutti gli altri: ma per dirci che, in Lui, tutti siamo chiamati a essere figli dell’unico Padre e fratelli tra di noi. La singolarità di Gesù è per la comunicazione, non per l’esclusione.

Certo, da ciò consegue anche – e non è una piccola cosa – quella distinzione tra la sfera religiosa e la sfera politica che è sancita nel “dare a Dio quel che è di Dio e a Cesare quel che è di Cesare”, affermata con nettezza da Gesù e su cui, faticosamente, si è costruita la storia dell’Occidente. La Chiesa, infatti, è chiamata a seminare il lievito e il sale del Vangelo, e cioè l’amore e la misericordia di Dio che raggiungono tutti gli uomini, additando la meta ultraterrena e definitiva del nostro destino, mentre alla società civile e politica tocca il compito arduo di articolare e incarnare nella giustizia e nella solidarietà, nel diritto e nella pace, una vita sempre più umana. Per chi vive la fede cristiana, ciò non significa fuga dal mondo o ricerca di qualsivoglia egemonia, ma servizio all’uomo, a tutto l’uomo e a tutti gli uomini, a partire dalle periferie della storia e tenendo desto il senso della speranza che spinge a operare il bene nonostante tutto e guardando sempre al di là.

Lei mi chiede anche, a conclusione del suo primo articolo, che cosa dire ai fratelli ebrei circa la promessa fatta loro da Dio: è essa del tutto andata a vuoto? È questo – mi creda – un interrogativo che ci interpella radicalmente, come cristiani, perché, con l’aiuto di Dio, soprattutto a partire dal Concilio Vaticano II, abbiamo riscoperto che il popolo ebreo è tuttora, per noi, la radice santa da cui è germinato Gesù. Anch’io, nell’amicizia che ho coltivato lungo tutti questi anni con i fratelli ebrei, in Argentina, molte volte nella preghiera ho interrogato Dio, in modo particolare quando la mente andava al ricordo della terribile esperienza della Shoah. Quel che Le posso dire, con l’apostolo Paolo, è che mai è venuta meno la fedeltà di Dio all’alleanza stretta con Israele e che, attraverso le terribili prove di questi secoli, gli ebrei hanno conservato la loro fede in Dio. E di questo, a loro, non saremo mai sufficientemente grati, come Chiesa, ma anche come umanità. Essi poi, proprio perseverando nella fede nel Dio dell’alleanza, richiamano tutti, anche noi cristiani, al fatto che siamo sempre in attesa, come dei pellegrini, del ritorno del Signore e che dunque sempre dobbiamo essere aperti verso di Lui e mai arroccarci in ciò che abbiamo già raggiunto.

Vengo così alle tre domande che mi pone nell’articolo del 7 agosto. Mi pare che, nelle prime due, ciò che Le sta a cuore è capire l’atteggiamento della Chiesa verso chi non condivide la fede in Gesù. Innanzi tutto, mi chiede se il Dio dei cristiani perdona chi non crede e non cerca la fede. Premesso che – ed è la cosa fondamentale – la misericordia di Dio non ha limiti se ci si rivolge a lui con cuore sincero e contrito, la questione per chi non crede in Dio sta nell’obbedire alla propria coscienza. Il peccato, anche per chi non ha la fede, c’è quando si va contro la coscienza. Ascoltare e obbedire ad essa significa, infatti, decidersi di fronte a ciò che viene percepito come bene o come male. E su questa decisione si gioca la bontà o la malvagità del nostro agire.

In secondo luogo, mi chiede se il pensiero secondo il quale non esiste alcun assoluto e quindi neppure una verità assoluta, ma solo una serie di verità relative e soggettive, sia un errore o un peccato. Per cominciare, io non parlerei, nemmeno per chi crede, di verità “assoluta”, nel senso che assoluto è ciò che è slegato, ciò che è privo di ogni relazione. Ora, la verità, secondo la fede cristiana, è l’amore di Dio per noi in Gesù Cristo. Dunque, la verità è una relazione! Tant’è vero che anche ciascuno di noi la coglie, la verità, e la esprime a partire da sé: dalla sua storia e cultura, dalla situazione in cui vive, ecc. Ciò non significa che la verità sia variabile e soggettiva, tutt’altro. Ma significa che essa si dà a noi sempre e solo come un cammino e una vita. Non ha detto forse Gesù stesso: “Io sono la via, la verità, la vita”? In altri termini, la verità essendo in definitiva tutt’uno con l’amore, richiede l’umiltà e l’apertura per essere cercata, accolta ed espressa. Dunque, bisogna intendersi bene sui termini e, forse, per uscire dalle strettoie di una contrapposizione… assoluta, reimpostare in profondità la questione. Penso che questo sia oggi assolutamente necessario per intavolare quel dialogo sereno e costruttivo che auspicavo all’inizio di questo mio dire.
Nell’ultima domanda mi chiede se, con la scomparsa dell’uomo sulla terra, scomparirà anche il pensiero capace di pensare Dio. Certo, la grandezza dell’uomo sta nel poter pensare Dio. E cioè nel poter vivere un rapporto consapevole e responsabile con Lui. Ma il rapporto è tra due realtà. Dio – questo è il mio pensiero e questa la mia esperienza, ma quanti, ieri e oggi, li condividono! – non è un’idea, sia pure altissima, frutto del pensiero dell’uomo. Dio è realtà con la “R” maiuscola. Gesù ce lo rivela – e vive il rapporto con Lui – come un Padre di bontà e misericordia infinita. Dio non dipende, dunque, dal nostro pensiero. Del resto, anche quando venisse a finire la vita dell’uomo sulla terra – e per la fede cristiana, in ogni caso, questo mondo così come lo conosciamo è destinato a venir meno – , l’uomo non terminerà di esistere e, in un modo che non sappiamo, anche l’universo creato con lui. La Scrittura parla di “cieli nuovi e terra nuova” e afferma che, alla fine, nel dove e nel quando che è al di là di noi, ma verso il quale, nella fede, tendiamo con desiderio e attesa, Dio sarà “tutto in tutti”. Egregio Dott. Scalfari, concludo così queste mie riflessioni, suscitate da quanto ha voluto comunicarmi e chiedermi. Le accolga come la risposta tentativa e provvisoria, ma sincera e fiduciosa, all’invito che vi ho scorto di fare un tratto di strada insieme. La Chiesa, mi creda, nonostante tutte le lentezze, le infedeltà, gli errori e i peccati che può aver commesso e può ancora commettere in coloro che la compongono, non ha altro senso e fine se non quello di vivere e testimoniare Gesù: Lui che è stato mandato dall’Abbà “a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista, a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore” (Lc 4, 18-19).

Con fraterna vicinanza
Francesco
11 settembre 2013

Udienza generale del Papa, la Chiesa è madre

Filed under: PAPA — giacomo.campanile @ 19:49

immagineEcco la catechesi dell’udienza generale di questa mattina in Piazza San Pietro 11 settembre 2013“Per me, è l’immagine più bella della Chiesa: la Chiesa madre”.

Papa Francesco comincia così l’udienza generale, con una dichiarazione d’amore alla mamma di ogni cristiano. La Chiesa e Maria, la Madre di Gesù, sono “mamme entrambe”, ha detto, e ciò che si può dire dell’una vale per l’altra. E il primo atto che una mamma compie è di generare alla vita, nel caso della Chiesa generare alla vita della fede all’interno di una comunità, viva al di là dei suoi difetti:

“Un cristiano non è un’isola! Noi non diventiamo cristiani in laboratorio, noi non diventiamo cristiani da soli e con le nostre forze, ma la fede è un regalo, è un dono di Dio che ci viene dato nella Chiesa e attraverso la Chiesa. Quello è il momento in cui ci fa nascere come figli di Dio, il momento in cui ci dona la vita di Dio, ci genera come madre”.

E da una origine così palpitante non può dipendere, avverte Papa Francesco, un’appartenenza di facciata, un qualcosa di burocratico:

“Il nostro far parte della Chiesa non è un fatto esteriore, formale, non è riempire una carta che ci danno e poi … no, no: non è quello! E’ un atto interiore e vitale; non si appartiene alla Chiesa come si appartiene ad una società, ad un partito o ad una qualsiasi altra organizzazione. Il legame è vitale, come quello che si ha con la propria mamma, perché la Chiesa è realmente madre dei cristiani”.

Il magistero stesso di Papa Francesco si nutre di questa vitalità di scambio, naturale e diretto, con i fratelli di fede, in questo caso con gli 80 mila che lo ascoltano in Piazza. E nello stimolarli a una riflessione su quale sentimento di riconoscenza abbiano nei confronti della Chiesa come loro madre, rivolge a tutti, con la consueta simpatia, una domanda che fa pensare:

“Quanti di voi ricordano la data del proprio Battesimo? (…) La data del Battesimo è la data della nostra nascita alla Chiesa, la data nella quale la mamma Chiesa ci ha partorito. E’ bello… E adesso, un compito da fare a casa: quando oggi tornate a casa, andate a cercare bene qual è la data del vostro battesimo. E quella è buona, per festeggiarlo, per ringraziare il Signore per questo dono”.

“Amiamo la Chiesa come si ama la propria mamma – ha poi domandato Papa Francesco – sapendo anche comprendere i suoi difetti? Tutte le mamme hanno difetti, tutti ne abbiamo” e “la Chiesa ha i suoi difetti”. “La aiutiamo ad essere più bella, più autentica, più secondo il Signore?”. Poi, il Papa ha sottolineato che compito di una mamma è di aiutare i figli a crescere e la Chiesa lo fa con i Sacramenti, che accompagnano ogni persona nell’arco della vita, anche nei momenti più difficili o cruciali. Ma c’è una terza caratteristica tipica della Chiesa, che Papa Francesco spiega così:

“La Chiesa, mentre è madre dei cristiani, mentre ‘fa’ i cristiani, è anche ‘fatta’ da essi (…) Allora la maternità della Chiesa la viviamo tutti, pastori e fedeli. Alle volte io sento: ‘Io credo in Dio ma non nella Chiesa’ (…) Ma una cosa sono i preti… La Chiesa non è solo i preti: la Chiesa siamo tutti. E se tu dici che credi in Dio e non credi nella Chiesa, stai dicendo che non credi in te stesso, e questa è una contraddizione. La Chiesa, siamo tutti!”.

“Tutti – conclude Papa Francesco incalzando la folla – siamo chiamati a collaborare alla nascita alla fede di nuovi cristiani, tutti siamo chiamati ad essere educatori nella fede, ad annunciare il Vangelo”:

“Quando ripeto che amo una Chiesa non chiusa nel suo recinto, ma capace di uscire, di muoversi, anche con qualche rischio, per portare Cristo a tutti, penso a tutti, a me, a te, a ogni cristiano! Penso a tutti. Tutti partecipiamo della maternità della Chiesa, tutti siamo Chiesa: tutti; affinché la luce di Cristo raggiunga gli estremi confini della terra”.

Powered by WordPress. Theme by H P Nadig