ROMA, Thursday, 17 January 2013
Per la prima volta è stato studiato il rapporto tra la stampa araba e la Chiesa cattolica. La ricercatrice araba Samar Messayeh ha infatti presentato, lo scorso dicembre, alla Pontificia Università della Santa Croce, una tesi di dottorato dal titolo “La Chiesa nella stampa araba”. La tesi ha cercato di capire cosa scrivono i giornali dei paesi arabi sulla Chiesa e sui cristiani e in che modo presentano la Chiesa.
La ricerca è durata sei mesi, dal Novembre del 2007 fino all’Aprile del 2008, portando ad un risultato di 1371 testi. Dopo numerosi tentativi – dovuti alle difficoltà di trovare il materiale cartaceo sul mercato italiano – sono stati scelti 18 giornali dai 22 Paesi che fanno parte della Lega Araba. Sono stati esclusi quattro Paesi: Comore, Somalia, Gibuti e Libano.
Nei primi due capitoli, la ricercatrice ha offerto una panoramica sia della storia del Cristianesimo nella zona dell’attuale Mondo Arabo, sia della storia del giornalismo arabo.
In particolare, nel primo capitolo sul tema “Mondo Arabo e Cristianesimo”, si è posto l’accento sulle diversità tra i termini “arabo” e “musulmano” che non costituiscono l’uno il sinonimo dell’altro. Si è poi evidenziato che l’infanzia, l’adolescenza e la gioventù della Chiesa si sono trascorsi nella terra del Mondo Arabo.
Una buona parte è stata dedicata al complesso rapporto storico e teologico tra Cristianesimo e Islam. La storia ha fatto passare i cristiani da maggioranza a minoranza, e la tesi dimostra il perché di questa decadenza dei cristiani, che si può identificare nella “persecuzione nei confronti dei cristiani e nella debolezza di quest’ultimi”.
Samar Messayeh ha sottolineato, al contempo, l’importanza del ruolo dei cristiani nello sviluppo della cultura araba di cui fanno parte: nella lingua, nella letteratura, nelle tradizioni, nella medicina e anche nel nazionalismo arabo. La verità, poco conosciuta, che viene fuori è che quindi “la Chiesa fa parte della storia del Mondo Arabo”.
In effetti, quando si parla del Mondo Arabo se ne parla sempre come di Mondo islamico, quando invece ciò non corrisponde alla realtà. Basti pensare, ad esempio, che se la filosofia greca è arrivata in Europa attraverso l’Impero Arabo è grazie al ruolo cruciale svolto dai cristiani.
Anche le prime tipografie sono state introdotte dai cristiani nel 1610 e i libri stampati erano tutti di carattere religioso, come ad esempio i libri dei salmi. I musulmani arabi utilizzarono la stampa solo nel 1819 grazie a Muhammad Ali (fondatore del nuovo Egitto).
Il secondo capitolo si incentra proprio sul tema della “Introduzione alla stampa in lingua araba”. In esso, la ricercatrice ha evidenziato che la storia della nascita dei primi giornali arabi è poco chiara ed è difficile individuare con sicurezza il primo giornale arabo. È certo, però, che risale ai primi decenni del XIX secolo e che il primo arabo a fondare un giornale arabo fu proprio un cristiano.
Lo studio si concentra poi sulla situazione attuale del giornalismo arabo che rileva tante problematiche quali: la censura e l’auto-censura, la propaganda, l’oppressione, la mancanza di figure femminili e l’utilizzo negativo del giornalismo come strumento di potere.
Anche se in alcuni periodi e situazioni di libertà il giornalismo arabo ha visto una primavera (come ad esempio in Libano e in Egitto), in altri momenti, soprattutto nella seconda metà del XX secolo, i giornali arabi hanno attraversato una fase di oscurità. Nei nostri giorni i media digitali hanno dato la possibilità alle persone di esprimere i loro pensieri.
La TV satellitare ha cercato, con tante difficoltà, di denunciare alcune realtà, ma la strada ancora è lunga e piena di ostacoli. Il capitolo, infatti, si conclude con una speciale menzione del fenomeno di Al-jazeera, la prima TV araba considerata una fonte di notizie per il mondo.
Nel resto dei capitoli Samar Messayeh ha analizzato i testi secondo i tradizionali metodi di analisi giornalistica.“Nonostante il giornalista che lavora nei giornali analizzati utilizzi un buon registro linguistico – scrive la ricercatrice – il suo livello professionale è basso”, dal momento che “è evidente la mancanza di risorse e corrispondenti, e al giornalista manca il coraggio di scoprire la verità e di tradurla in parole”.
“Sarebbe auspicabile andare oltre alla diffusione di stereotipi – aggiunge – ogni giornalista ha una sua convinzione politica o religiosa; il problema è che non riesce ad andare aldilà delle sue posizioni e a descrivere la realtà così com’è senza essere influenzato dal potere politico e religioso. In numerosi testi si avverte che ancora è presente l’auto censura, imposta anche dalla proprietà del giornale”.
La studentessa si riferisce, in particolare, alla “ingiustizia” nella trattazione dei temi che riguardano la comunità cristiana. “Io sono figlia della mia terra martirizzata” afferma. “Conosco le difficoltà in cui i cristiani vivono oggi la loro fede. Personalmente ho vissuto la mia vita in una società araba dove domina l’Islam “in tempi che si considerano migliori di quelli di oggi”. Ho sperimentato la mancanza di diritti per le minoranze, la proibizione della libertà religiosa, la libertà di culto considerata come conquista in alcuni paesi fortunati”. Un giornalista, pertanto, “non può non vedere questa realtà e limitarsi scrivere che tutto va bene, e, eventualmente ricercare le cause degli eventi negativi solo all’esterno”.
In tanti casi, inoltre, “si offre un’immagine della Chiesa non corrispondente alla realtà”. “È facile lodare la costruzione di una Chiesa senza un segno esterno, nel deserto lontano e con la presenza di migliaia di cristiani operai” scrive. Non si pensa però “che l’evangelizzazione è un diritto della libertà religiosa e non un reato”.
“È facile parlare delle vignette e delle crociate – conclude Samar – ma non si ricorda la situazione dei cristiani in paesi come il Pakistan e la tragica storia dell’Impero Ottomano contro i cristiani. Ci sono pochi testi che sottolineano l’aspetto negativo del comportano dei musulmani verso i cristiani; non c’è neanche un testo che parli dei diritti delle minoranze o della mancanza della libertà religiosa. Sembra che tutto sia perfetto”.