La scomparsa delle età
L’individualizzazione dei percorsi di crescita, come si è accennato, si colloca all’interno di un fenomeno socioculturale più vasto: la Scomparsa delle età con cui veniva scandito il percorso esistenziale della persona dalla nascita alla morte. Per comprendere la natura di questa trasformazione sociale è necessario partire un po da lontano, ricordando che nella recente storia sociale uno dei principi cardine della socializzazione delle nuove generazioni era costituito da un accesso progressivo degli individui alle informazioni e, quindi, ai sistemi simbolici del mondo sociale a cui appartenevano. E questo faceva si che il bambino entrasse professionalmente in contatto con le informazioni, gli atteggiamenti ed i comportamenti tipici del mondo adulto.
Per garantire che questa progressione avvenisse in modo ordinato nella
società era stata organizzata una vera e propria segregazione delle età.
L’ordinamento scolastico era, e ancora e, un esempio di questa segregazione, finalizzata a far si che i bambini delle varie età entrassero in contatto solo con le informazioni ed i comportamenti che erano ritenuti dagli adulti appropriati per la loro età.
Questo comportava la messa in opera di una accurata selezione delle informazioni e dei comportamenti ai quali il bambino veniva esposto sulla base della sua età.
Una garanzia dell’efficacia della segregazione era offerta, oltre che dal comportamento degli adulti, dal fatto che in un passato, anche recente, l’unico mezzo di accesso indiretto alle informazioni che i bambini potevano utilizzare era quello della lettura.
Ora è noto che l’acquisizione di un evoluta capacità di lettura richiede un percorso di apprendimento che dura tanti anni e che, quindi, era sufficiente che un testo fosse scritto con un linguaggio più complesso di quello che mediamente i bambino di una certa età possedeva delle informazioni contenute in quel testo gli fossero, di fatto, inaccessibili. Gli adulti poi cercavano di nascondere, collocandoli in una sorta di retroscena, quei loro comportamenti che erano ritenuti inadatti, oppure che avrebbero potuto sminuire la loro immagine e quella delle istituzioni che
rappresentavano, agli occhi del bambino.
La televisione ha infranto questa segregazione perché i bambini di qualsiasi età guardandola ricevono le stesse informazioni degli adulti e vengono anche a contatto con quei comportamenti, da retroscena, che un tempo venivano loro accuratamente
nascosti. In tempi più recenti alla televisione si sono aggiunti altri strumenti di comunicazione elettronica che consentono al bambino l’accesso alle realtà che un tempo
gli venivano nascoste. Questo ha fatto e fa sì che i bambini, dato che ricevono delle
Informazioni sociali riguardanti tutte le età, siano costretti a compiere una evoluzione
Cognitiva, affettiva e sociale individuale e solitaria, del tutto diversa da quella che
Continua ad essere ipotizzata dalle tradizionali agenzie educative, che si comportano
Come se il bambino non guardasse la televisione e non accedesse ai media elettronici.
generale però la socializzazione non più legata all’età, non riguarda solo i bambini ma, come si è accennato, è divenuta un fenomeno sociale che colpisce anche
e i anziani. Una conseguenza di tutto questo è la concreta possibilità di
essere sia adulti infantili che bambini maturi nella vita sociale, senza che questo
produca alcun tipo di devianza e di stigmatizzazione.
L’adulto infantile e il bambino maturo
Come si è appena visto, nella prima metà del Novecento l’infanzia era considerata
il periodo dell’innocenza per cui doveva essere protetta dalle realtà sgradevoli della
vita. I discorsi sulla morte, sul sesso e sui problemi economici, ad esempio, non venivano fatti dagli adulti di fronte ai humbir
La diversità dell’infanzia era segnalata anche dal fatto che i bambini vestivano in
modo diverso dagli adulti e che utilizzavano un linguaggio particolare. É chiaro che la
segregazione delle età, di cui si è parlato prima, favoriva questa situazione.
Negli ultimi cinquantanni, invece, l’immagine ed il ruolo dei bambini ha subito
un significativo cambiamento in conseguenza del quale l’infanzia intesa come periodo
la chiardo protetto della vita è quasi scomparsa.
L’a
I bambini, infatti, sembrano oggi meno infantili tanto rispetto al modo di vestire
front quanto al linguaggio ed al modo di comportarsi. Parallelamente, molti di coloro
sono diventati adulti in questi ultimi trentanni parlano, si comportano e si vestono
come bambini non cresciuti. E normale oggi vedere adulti con scarpe da tenni
jeans e T-shirt con l’immagine di Topolino o Paperino accanto a bambini vestiti con
capi firmati.
Attraverso quello che spesso viene definito un comportamento informale gli
adulti continuano a utilizzare una gestualità tipica della fanciullezza.
Per quanto riguarda il linguaggio, non c’è solo la constatazione della presenza
di un linguaggio adulto più infantile e di un linguaggio infantile più adulto, ma c’è
anche la perdita di responsabilità nell’uso del linguaggio di molti adulti nei confronti
dei bambini.
Oramai non è più raro trovare adulti che parlano in modo gergale o dicendo parolacce di fronte ai bambini. In questa Babele delle a bambino viene sempre più trattato come un piccolo adulto e vengono di consc A eliminate le protezioni che lo separavano dalla ruvidezza della vita.
Dietro queste omeno vi è la presenza nella nostra cultura di ciò che alcuni studiosi hanno definito “ethos infantilistico”.
L’ethos infantilistico
Barber (Barber, 2010, p. 5). afferma che «le sette età dell’uomo shakespeariano
rischiano di essere spazzate via da una puerilità che dura tutta la vita» e ricorda che
nel 2004 il Webster’s American Dictionary ha proposto la parola adultescent (neolo-
gismo coniato incrociando adult e adolescent) come parola dell’anno. In quasi tutti i
paesi economicamente più sviluppati sono state utilizzate parole forse meno raffina-
te, ma comunque molto efficaci per indicare questa condizione ibrida da cui sembrano afflitti i giovani e in molti casi anche gli adulti: in Italia: “mammoni”, in Germania:
“Nesthocker”, in Giappone: “freeter”, in India: “zippy” e in Francia: “puériculture.
In queste società, legato al dissolvimento della transizione evolutiva che dall’infanzia conduce all’adultità è comparso un ethos infantilistico indotto dalle esigenze
di un economia fondata sul consumo in un mercato globale, Questo ethos infantili-
DL –
PARTE PRIMA
stico riuscirebbe «a plasmare fideologia ei comportamenti della società consumi-
stica fadicate in Cui viviamo con ta stessa forza Coni cui l”etica protestante”- come
la chiamava Max Weber-é riuscita a infiuenzare la cultura imprenditoriale di quetla
the al tempo era una secietà produttivistica agli albori del capitalismos (Barber,
l’ethos infantilistico che affligge gli adulti e che fonda le toro aspettative nei con
fronti della vita ha origine nell’infanzia, laddove l’educazione del bambinoé finalizzata
, invece che a favorite la sua crescita sociale, intellettuale e spirituale, ad abilitarlo
al consumo (recora, 1988, p154) Tutto questo ha all’origine le esigenze del mercato dei
consumi perche in un mondo con troppi prodotti e compratori in numero insufficiente,
I bambini diventano consumatori preziosia (Barber, 2010, p. 29) Abilitati al consumo
precocemente egli adulti che invecchiano rimangono giovani consumatofi per tutta la
Vita, gli uomini bambin (b. jones, D. Klein, 19/0, p 34) mentre bambini e préadolecenti vengono trastormati in consumatori adulti (Bafber, 2016, p. 30).
l’ethos infantilistico ha degli effetti disastrosi perché, da un lato, a livello sociale
etche incide profondamente sul senso Civico e sulla capacita di assunzione di responsabilità da parte degli adulti, e questo rischia di mettere in crisi to stesso fondatmento della cittadinanza democratica, dall’altro lato, esso incide sulla dimensione
critica producendo in alcune persone una vera e piopfia dipendenta dal consumo.
Infine, come s e dette, esso, 6ftr6 & fiettere in crisi il modello di relazione interge
Mfanonde che eta alla base de pocessi educazione sotializzanti, di fatto ha res6 le
ela della vits nioii fi un insieme cultutalmente ufitario ma un semplice aggregato