Caravaggio e la figura di Cristo.
La Flagellazione di Cristo, Piero della Francesca e Caravaggio
breve video Flagellazione Caravaggio
Cattura di Cristo
LEZIONE VIDEO del prof. Giacomo Campanile. Di proprietà della comunità gesuita di Dublino è la tela in prestito a tempo indeterminato nella National Gallery of Ireland di Dublino. Durante il soggiorno romano dell’artista, Ciriaco Mattei commissionò al Caravaggio il dipinto. Suo fratello, il cardinale Girolamo Mattei ne avrebbe suggerito il soggetto con il Bacio di Giuda, l’iconografia e l’ambientazione. Il 2 gennaio 1603 il committente lo pagava centoventicinque scudi. L’azione è raffigurata su una tela posta in orizzontale. Gesù è raffigurato immobile e dimesso; Giuda lo schiaccia. Il centro visivo del quadro è formato dalle due teste contrapposte dei protagonisti. Il perno compositivo della scena è fissato dai volti del Cristo, che prefigura i patimenti e la sua Passione, di Giuda e di San Giovanni, che è colto in fuga, dal viso bloccato in un urlo, che presagisce le sofferenze del Messia che seguiranno alla sua Cattura. Sul lato destro del quadro un uomo, che assiste alla cattura di Gesù e che illumina la scena con una lanterna, avrebbe le sembianze del Caravaggio stesso. La lanterna in mano al Caravaggio, secondo un altro storico d’arte Maurizio Marini, ricorderebbe Diogene e la ricerca della fede e della redenzione a cui il pittore tendeva. La frenesia dell’insieme, data dallo sbilanciamento delle figure e ravvisata dai guizzi di luce sulle corazze dei soldati, rende il fare concitato e dinamico della scena. Il quadro è stato ritrovato a Dublino nel 1990 da Sergio Benedetti, curatore della National Gallery of Ireland, che aveva ricevuto l’incarico di esaminarlo da Padre Noel Barber, al fine di poterne effettuare un restauro a scopo commerciale. Non appena furono rimossi i primi strati di depositi superficiali emerse chiaramente la maestria con cui era stato realizzato, e si incominciò a ipotizzarne l’attribuzione al Caravaggio. Durante una lunga ricerca o all’interno di un antico e mal ridotto registro custodito negli archivi della famiglia Mattei, a Recanati, un’attestazione di una Cattura di Cristo che ne documentava un pagamento a Michelangelo Merisi. Del soggetto esistono almeno 12 copie, tra quelle ritenute originali anche una del Museo d’Arte Occidentale ed Orientale di Odessa. L’opera qui fotografata era ed è tuttora, identificata, la copia di Gerard van Honthorst proveniente da Edimburgo con il nome di Gherardo delle Notti.
la flagellazione.
deposizione di Cristo
LEZIONE VIDEO del prof. Giacomo Campanile. La Deposizione è il soggetto di un dipinto a olio su tela realizzato, tra il 1602 ed il 1604, dal pittore italiano Michelangelo Merisi da Caravaggio e conservato presso la Pinacoteca vaticana. Il dipinto fu commissionato da Girolamo Vittrice per la cappella dedicata alla Pietà, di proprietà dello zio, che si trova nella chiesa di Santa Maria in Vallicella a Roma, celebre sede dell’Oratorio di san Filippo Neri. Secondo Rodolfo Papa, che riprende studi di Alessandro Zuccari e Maurizio Calvesi, non è del tutto casuale che i Vittrice si siano rivolti a Caravaggio per la realizzazione di questo dipinto, poiché questa famiglia, come pure quelle di altri illustri committenti di Merisi, era legata all’ambiente oratoriano e dunque alla frangia pauperista e populista della Chiesa, i cui ideali di religiosità popolare collimavano con quelli borromaici che il giovane Caravaggio aveva assorbito in Lombardia e che la sua pittura traduceva perfettamente in immagine. La cappella Vittrici era stata edificata da Pietro, guardarobiere e maggiordomo di papa Gregorio XIII, molto devoto a San Filippo Neri; nel 1588, la chiesa fu riedificata e così Pietro si prese l’incarico della ristrutturazione della propria Cappella e della relativa decorazione; i lavori furono affidati all’architetto Giovan Battista Guerra che terminò la cappella nel 1602. Il dipinto rimase nella cappella fino al 1797 quando, in seguito al trattato di Tolentino, fu rimosso dalla cappella, affidato a Giuseppe Valadier (incaricato dai francesi di prenderlo in consegna), e trasferito a Parigi assieme a molte altre opere ed infine esposto al Musée Napoleon.Unica opera di Caravaggio a essere stata requisita dalle chiese di Roma, la Deposizione entrò a far parte della Pinacoteca di Pio VII, e dunque dell’odierna Pinacoteca vaticana, solo in seguito alla sua restituzione, nel 1816.Nella Chiesa Nuova è esposta una poco pregevole copia di inizio Ottocento dell’austriaco Michele Koeck. L’opera, nel suo insieme semplice e grandiosa allo stesso tempo, ritrae il momento in cui Gesù Cristo sta per essere seppellito nella tomba interrata (non dunque deposto nel tradizionale sepolcro come possiamo vedere in altre Deposizioni, il punto di vista in cui si colloca il fruitore è basso (la pala d’altare è posta in alto sopra l’altare) di modo che il fruito è come se guardasse da dentro la tomba, al di qua della pietra spostata per far calare il corpo; lo stile è monumentale ed è composto alla stregua di un altorilievo antico in cui si sommano in modo mirabile ricordi di Deposizioni. L’aspetto monumentale, è attentamente ravvisabile nella scultorea drammatica anatomia di Cristo che riporta alla Pietà vaticana di Michelangelo che ne ribadisce la stessa drammaticità trasmessa agli spettatori che si trovano in direzione il taglio della pietra sepolcrale e il sospettoso sguardo di Nicodemo. La soluzione della lastra tombale che sembra uscire fuori dal quadro, mentre il braccio pendulo del Cristo senza vita rammenta la Pietà michelangiolesca. Peraltro, nel citare la Pietà michelangiolesca, Caravaggio creò un esplicito legame tra il proprio dipinto e la stessa cappella Vittrice, dedicata alla Pietà. Il corpo senza vita di Cristo, in un drammatico abbandono che è quasi un precipitare verso il basso, è sorretto con fatica e dolore dagli apostoli Giovanni e Nicodemo e si contrappone ai gesti energici dei personaggi, accentuando dunque la drammaticità della narrazione. La figura di Nicodemo è l’unica a rivolgere lo sguardo verso l’osservatore ed è interessante notare che l’ammirazione di Caravaggio per Michelangelo Buonarroti si riveli anche nella figura dello stesso Nicodemo, il cui volto altro non è che il ritratto del grande scultore fiorentino . I personaggi del dipinto sono ritratti con dovizia di dettagli: le rughe sui volti, le pieghe degli abiti, il nodo nel lenzuolo funebre, le trecce di una delle Marie, le vene e le ferite del corpo di Cristo, le costole e i muscoli evidenziano, ancora una volta, il naturalismo di Caravaggio. L’equilibrio compositivo del dipinto non impedisce che la violenta drammaticità del temperamento del maestro, contenuta nelle figure delle Marie e dei due apostoli, esploda in quella di Maria di Cleofa, dalle braccia desolatamente tese in alto. I loro gesti sono espressione della teoria degli affetti secondo la quale il dolore straziante dei personaggi nel dipinto, temperato esclusivamente dalla consolazione spirituale della preghiera, doveva essere vissuto anche dall’osservatore perché partecipasse in prima persona alla narrazione. Le tonalità del dipinto vanno dal caldo arancione della veste maschile all’incarnato chiaro, e mettono in secondo piano l’unica figura rappresentata con vari colori: quella di Giovanni il quale, con la destra, circonda le spalle di Cristo e abbandona la sinistra sul suo corpo, come assorto in meditazione. Egli indossa una veste verde e un mantello rosso, che, insieme al bianco del lenzuolo funebre, risalta con decisione nella parte centrale del quadro. Durante un restauro, sul retro della tela, fu rinvenuta una scritta di mano certamente caravaggesca che diceva: “Ne Iacobus videat neque de hoc loquetur”, traducibile in italiano come: “Che Iacopo non veda [quest’opera] e non ne parli”. Si è a lungo discusso sul significato misterioso di questa proposizione, che peraltro termina con un segno molto lungo che sembra quasi una striscia di sangue, che probabilmente vuol rilevare l’estrema importanza del comando per l’autore della frase.
Incredulità di san Tommaso.
LEZIONE VIDEO del prof. Giacomo Campanile. L’Incredulità di san Tommaso è un dipinto a olio su tela di 107 × 146 cm realizzato tra il 1600 ed il 1601 dal pittore italiano Caravaggio. È conservato nella Bildergalerie di Potsdam. A parlare dell’episodio è il Vangelo di S. Giovanni. Dopo l’apparizione di Gesù agli apostoli e dopo che essi ne ebbero gioito, Tommaso, detto anche Didimo, che non era con gli altri al momento dell’apparizione, fu restio a credere che il Cristo morto fosse apparso in mezzo a loro, così affermò che avrebbe creduto solo se avesse messo un dito nella piega del costato di Gesù. Otto giorni dopo Gesù apparve di nuovo agli apostoli e visto fra di loro Tommaso gli disse:” Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!” (Gv. 20,19-31 ). Caravaggio nella dimensione orizzontale della tela ‘fotografa’ il momento della constatazione in un’inquadratura di tre quarti dove sono disposte le quattro figure su di uno sfondo neutro e scuro. Questa scelta permette di concentrare l’attenzione dello spettatore sulla testa di Tommaso, mentre la luce illumina la fronte e il profilo ed il costato chiaro di Cristo. Inoltre l’inquadratura permette di fissare l’attenzione sull’atteggiamento timoroso e dubbioso di Tommaso, confortato da Cristo a cui oppone la testa, in basso, rispetto alla Sua, in alto. La disposizione a croce ravvicinata delle quattro teste e a triangolo degli sguardi, col vertice sul gesto di Tommaso, permette un’ulteriore concentrazione emotiva dello sguardo del fruitore, che non può non focalizzarsi sul punto del ‘dramma’: la rivelazione della presenza reale, in carne ed ossa di Gesù. Il pittore raffigura l’apostolo Tommaso mentre infila un dito nella ferita del costato di Gesù, secondo una determinata tradizione iconografica,con altri due apostoli che osservano la scena. Sempre sul piano compositivo si osserva l’intersecarsi di due assi principali, quello orizzontale che è costituito dal braccio di Tommaso e dalle mani di Gesù e quello verticale che passa dalla testa dei due apostoli ( o meglio in mezzo alle due teste ) e prosegue su quella di Tommaso (esattamente lungo il collo dell’apostolo). Completa questa disposizione un arco formato dalle due schiene, quella di Tommaso e quella di Cristo. Un mirabile incastro di forme umane in primo piano ‘gettate’, con grande impatto emotivo davanti al fruitore: il gesto di Tommaso e la mano di Cristo che benevola lo accompagna esplode in una ‘zoomata’ straordinaria esaltata dalla luce che proviene da sinistra ( la luce della rivelazione ) che illumina il dubbio e lo stupore ( le fronti corrugate degli apostoli ) e la realtà della carne viva del Salvatore: dando forza alla verifica che annulla ogni timore. Il dipinto era un “sopraporta”, come descritto nell’Inventario Giustiniani, e quindi gli spettatori lo vedevano dal basso, partecipando, emotivamente della scoperta di Tommaso.
Cena in Emmaus.
Video breve CENA IN EMMAUS – CARAVAGGIO