“Glebalizzazione” il filosofo Diego Fusaro denuncia l’attuale ordine capitalista economico-finanziario, indicando anche le vie dell’emancipazione alla plebe precarizzata, alienata e reificata a vita
Diego Fusaro, nel suo libro “Glebalizzazione. La lotta di classe ai tempi del populismo” cita una frase di M.Heidegger, tratta da “In cammino verso il linguaggio“, che sarà il punto di partenza della sua analisi sulla globalizzazione.
“La lotta per il dominio della terra è ora entrata nella sua fase decisiva. La sfida al completo dominio della terra è legata oramai alla possibilità di impadronirsi di un’ultima posizione di controllo totale al di fuori di essa. La lotta per tale posizione si identifica con la generale riduzione di tutti i rapporti fra le cose a quel “senza distanza” che è l’oggetto proprio del calcolo. Ciò significa l’instaurare lo squallore del deserto al posto dell’esser l’uno di fronte all’altro delle quattro regioni del mondo, significa il rifiuto della prossimità.”
La globalizzazione non corrisponde affatto a una pacifica estensione dei diritti, a un’unica diffusione del benessere su scala cosmopolitica, tutto il contrario!
La globalizzazione – come mostra Heidegger – è una lotta senza quartiere condotta in vista dell’imperialismo planetario da parte del mercato, di quel mercato capitalistico che ha nel suo stesso fondamento l’essenza che lo porta a occupare ogni spazio esistente, ogni spazio materiale e immateriale e a saturare il pianeta e la coscienza.
La globalizzazione potrebbe essere anche definita come una forma di inglobalizzazione: mira a inglobare il mondo intero e la coscienza e il nuovo imperialismo che, a differenza di quelli tradizionali che escludevano, include i vecchi imperialismi.
Nello squallore della fine della distanza e della prossimità, nella globalizzazione perdiamo il rapporto di prossimità con le cose che ci sono familiari: luoghi, persone, spazi.
Nella globalizzazione lo squallore del mondo di quando diventa mercato e nella figura del calcolo non sopravvivono più valori culture tradizioni civiltà e tutto diventa duro valore di scambio, nuda forma della circolazione della merce.
Ecco perché il suo libro, a partire da Heidegger, è un tentativo di ripensare altrimenti la globalizzazione decostruendo i moduli del pensiero unico, politicamente corretto ed eticamente corrotto, che sempre giustifica la globalizzazione, non fosse altro che per il fatto che la globalizzazione è il dominio della classe dominante che trova nello spazio cosmopolitico il proprio locus naturalis per esprimere il proprio conflitto di classe.
Ecco perché in “Glebalizzazione” Fusaro prospetta il tentativo di guardare alla globalizzazione dal punto di vista degli sconfitti, dal punto di vista del servo e non del signore.
La reductio ad unum è l’essenza della globalizzazione capitalistica che non accetta differenze e non accetta l’altro, vuole vedere ovunque il medesimo, cioè merci che circolano onnidirezionalmente e persone che a loro volta circolano alla stregua di merci.
Il fondamento ultimo della globalizzazione è la libera circolazione delle merci e delle persone, in cui le merci non per caso vengono prima delle persone.
Il mondo è ridotto a un unico bazar senza confini, a un unico mercato dove non vi sono più confini e tutto è incluso nell’unico modello dominante capitalistico. Per questo non vi è spazio per le differenze.
Il capitale mondialista ha dichiarato guerra a ogni figura dell’alterità perché vuole vedere ribadito se stesso, sia il mondo mercificato dove non vi siano madri e padri cittadini e cittadine esseri umani portatori di una cultura, di una tradizione, di uno spessore critico. Debbono invece esservi solo merci e consumatori individui ridotti al rango di quello che Fusaro nel libro chiama “homo vacuus et cosmopoliticus“: l’uomo svuotato di ogni spessore critico, di ogni valore, di ogni peso culturale identitario e quindi disposto ad assumere tutti quelli che la civiltà della pubblicità e del nichilismo delle merci vorrà imporgli.
Chi ancora possiede una propria identità è considerato come un pericolo per le identità altrui, di ogni tipo di identità: che sia l’identità sessuale, quella di classe, quella culturale, quella nazionale e così via.
L’identità è nemica del capitale perché il capitale vuole dissolvere ogni identità di modo che ne sopravviva una: quella del consumatore sradicato, deterritorializzato, apolide.
Ciascun popolo, ciascun individuo, rinunziando alla propria identità non può dialogare con le altre non avendo più una propria identità e si produce un vuoto, un mondo svuotato su cui circolano in maniera uniforme le merci capitalistiche e il falso teorema del multiculturalismo che in realtà cela il trionfo del monocromatismo assoluto, del mercato capitalistico.
La globalizzazione, se si guarda dal punto di vista dei dominanti, è il paradiso della delocalizzazione, l’Eldorado della deportazione di massa di individui da sfruttare senza pietà: si ha la possibilità di produrre a costi più bassi.
Se però la si guarda dal punto di vista dei nuovi miserabili della globalizzazione infelice, allora non si ha la globalizzazione, bensì la “glebalizzazione”. Un processo che sta producendo un abbassamento generale delle condizioni di lavoro e di esistenza di tutti i popoli del pianeta grazie al dogma della competitività in forza della quale si crea un neocannibalismo planetario in virtù del quale i più deboli vengono massacrati liberamente dai più forti.
La chiamano privatizzazione, libera concorrenza, in realtà è il massacro incondizionato dei più deboli ad opera dei più forti, ciò che determina un abbassamento delle condizioni di lavoro e di esistenza per tutti.
Diego Fusaro, che di recente ha pubblicato il saggio “Glebalizzazione. La lotta di classe al tempo del populismo” (ed. Rizzoli), racconta in esclusiva a Byoblu quello che secondo lui è uno degli aspetti più tragici della caduta del Muro di Berlino: il passaggio dal pensiero dominante al pensiero unico politicamente corretto, ma eticamente corrotto. Il nuovo ordine mondiale avrebbe lì imparato a inoculare nelle masse un paradigma mentale concepito a propria immagine e somiglianza. Quella che ci hanno insegnato a chiamare “mondializzazione” – secondo Fusaro – sarebbe, in realtà, una rimozione dei diritti su scala planetaria, la produzione seriale di nuovi servi sfruttati, sottopagati e precarizzati che confonderebbero l’uguaglianza con l’omologazione.
“Dopo il 1989 dovrebbe essere evidente che capitalismo non fa rima con democrazia, uguaglianza e libertà. Capitalismo fa rima semmai con disuguaglianza ogni giorno crescente, con asimmetria ogni giorno più marcata, nell’ordine di una società interamente reificata sotto il segno della forma merce.
Questo va detto contro i cantori fukuyamisti dell’”hand of hystory” capitalistica, va ribadito contro gli aedi zarathustriani dell’eterno ritorno del libero mercato con annesse chance per l’intera società. Il mondo passato, interamente sotto la forma merce – Berlino 1989 – non è affatto più libero, democratico ed eguale. Al contrario, esso si pone sotto i gelidi raggi di una ragione strumentale – per dirla con Adorno e Horkheimer – che rende ogni giorno più disumanizzanti i rapporti umani e ogni giorno più barbara una produzione che diventa più razionale – ma parliamo di una razionalità strumentale e tecnica, legata al pensiero calcolante, che del pensiero pensante è il pervertimento.
Sotto questo profilo, il capitalismo continua a promuovere, con i padroni del discorso, quella che esso chiama uguaglianza e che in realtà meglio andrebbe definita come omologazione. Più precisamente, il capitalismo genera un’omologazione planetaria, un livellamento cosmopolitico, giacché include tutti i popoli del pianeta nell’unico modello consentito: quello del consumo, dell’alienazione, del classismo, dell’imperialismo americano-centrico e della reificazione su scala planetaria, un modello che insieme appella con la nobilitante etichetta d’uguaglianza: quella che in realtà è sic et simpliciter omologazione.
Di più, il capitalismo, nell’atto stesso in cui omologa tutti i popoli del pianeta sotto il segno della forma merce e delle alienazioni che la contraddistinguono coessenzialmente, genera una forma di disuguaglianza ogni giorno crescente. In sostanza, il capitalismo omologa e rende diseguale, chiama uguaglianza l’omologazione nell’atto stesso con cui, omologando, produce disuguaglianze ogni giorno crescenti tra gli uomini e ciò in ragione del fatto che il capitalismo – Marx docet – si fonda (non per accidens, ma per sua essenza) sulla disuguaglianza, sul classismo, sullo sfruttamento del lavoro umano e quindi su un’asimmetria che è non accidentale e riformabile, ma è consustanziabile alla logica stessa del capitalismo. Il capitalismo produce, per dirla con Marcuse, “l’unidimensionalità planetaria“, per dirla con Heidegger “l’einheitlichkeit“: l’uniformazione globale che include e neutralizza il tempo stesso, procede includendo tutti i popoli del pianeta nel modello unico globalista, neutralizzando – devitazzandole e disattivandole – le differenze e le specificità culturali, e chiamando uguaglianza l’omologazione.
La sola forma d’uguaglianza che il capitalismo conosca è la cattiva uguaglianza dell’omologazione, dell’indifferenziazione dell’essere tutti il medesimo e quindi della distruzione di tutte le differenze e le specificità culturali che vengono giudicate come incompatibili e non organiche rispetto al capitalismo stesso e quindi degne di essere abbattute in nome del modello unico. L’unica soggettività consentita nel mondo unico della reificazione planetaria è quella del consumatore sradicato e post identitario, uguale da Tokyo a Berlino, da Nuova York a Roma. Chiamano questa omologazione planetaria “uguaglianza” quando in realtà è indifferenziazione e dissoluzione delle diversità.
Il capitale è eterofobo, non accetta l’eteros, l’altro, il diverso. Il capitale vuole vedere ovunque il medesimo. Il capitalismo nella sua fase absoluta, cioè pienamente realizzata perché sciolta da vincoli che lo contengano e lo frenino, è per ciò stesso un capitalismo speculativo; è uno speculum che vede ovunque rispecchiato se stesso. Il capitalismo pienamente realizzato è speculativo perché vede ovunque rispecchiata la forma merce nel reale e nell’immaginario, nell’immateriale e nel materiale. Il capitalismo, dunque, produce un’omologazione planetaria perché egualizza il mondo intero nella diseguaglianza capitalistica, produce individualità seriali svuotate di coscienza – l’homo vacuus et cosmopoliticus – che di fatto fungano da meri supporti ideali per la libera circolazione delle merci che diventano, una volta di più, i veri soggetti del mondo capitalistico della produzione.
Non chiamatela uguaglianza. È semplicemente omologazione fondata sulla disuguaglianza ogni giorno crescente.”